venerdì 4 luglio 2025

Quando il cattivo aveva (forse) ragione: il caso Cypher in The Matrix


        “Ignorance is bliss.”

– Cypher, The Matrix (1999)

Nel vasto panorama cinematografico, il “cattivo” è spesso un archetipo funzionale: opposto all’eroe, incarnazione del disordine, nemico da sconfiggere. Ma cosa accade quando il cattivo non è affatto folle o malvagio, bensì lucido, umano e forse... ragionevole?

Il caso di Cypher, interpretato da Joe Pantoliano in The Matrix (1999), rimane uno degli esempi più iconici e disturbanti di questo paradosso narrativo. Traditore per alcuni, eroe tragico per altri, Cypher rappresenta un personaggio che rifiuta la realtà scomoda per riabbracciare l’illusione. E nel farlo, solleva una domanda cruciale: se la realtà è insopportabile, abbiamo davvero il dovere morale di viverla?

Cypher è uno dei membri originali dell’equipaggio della Nabucodonosor. Ha visto com’è fatto il “vero” mondo: un deserto post-apocalittico, devastato da macchine senzienti, dove l’umanità sopravvive a fatica nutrendosi di pappette proteiche in ambienti metallici e bui. Ha vissuto a Zion, città sotterranea nata dalle ceneri della civiltà. E, infine, ha visto la Matrix, un costrutto artificiale, ma straordinariamente convincente, in cui la maggior parte degli esseri umani vive ignara, immersa in un sogno condiviso. È lì che c’è il sole. Il cibo. La cultura. La bellezza. La normalità.

Cypher decide di tornare indietro. Di dimenticare la verità. Di scegliere l’illusione, purché confortevole.

“Non voglio ricordare niente. Niente. Capito? E voglio essere ricco. Importante. Magari un attore.”

La sua decisione non nasce da malvagità, ma da stanchezza. Da una profonda delusione. E da un atto di libero arbitrio. È qui che la sua posizione diventa filosoficamente interessante: Cypher non rifiuta la verità perché è un codardo. La rifiuta perché non la ritiene degna.

Il confronto tra la realtà e l’illusione è il cuore tematico della trilogia di Matrix. Ma mentre Morpheus e Neo rappresentano la fede nella verità a ogni costo, Cypher incarna la voce di chi si chiede: “a che prezzo?”

È una domanda lecita. Il mondo reale è invivibile. Non c’è qualità della vita. Non c’è gioia. Non c’è futuro. Solo resistenza. E resistere, giorno dopo giorno, può logorare l’anima.

Nell’economia morale del film, Cypher è un traditore. Ma se ci si spoglia per un momento della narrazione binaria, emerge una prospettiva inquietante: Cypher ha rifiutato un martirio che non aveva scelto consapevolmente. Quando Morpheus lo ha "svegliato", non gli ha dato una scelta. Non ha detto: "Vuoi davvero conoscere la verità o preferisci continuare a vivere felice nella bugia?" Lo ha trascinato nel deserto del reale. Punto.

Cypher rappresenta chi dice: “Non ho firmato per questo.”

E, in un certo senso, molti spettatori concordano con lui. La sua celebre frase “Se ci avessi detto la verità, ti avremmo detto di infilarti quella pillola rossa su per il culo” è diventata una battuta cult proprio perché riflette un sentimento diffuso: la verità può essere invocata come valore assoluto, ma solo finché non la si deve vivere ogni giorno sulla propria pelle.

La filosofia antica ha spesso discusso il valore della verità rispetto alla felicità. I cinici greci abbracciavano la verità a ogni costo, anche se conduceva al disprezzo della società. Epicuro, al contrario, cercava la felicità nel piacere misurato. Cypher sarebbe stato un ottimo epicureo digitale: meglio una bugia piacevole che una verità tossica.

La nostra epoca digitale, con realtà sempre più mediate da schermi, filtri, algoritmi e intelligenze artificiali, rende questo tema ancora più urgente. Siamo già dentro una “pre-Matrix” – e molti, come Cypher, non vogliono uscirne.

Nel cinema, non mancano altri “cattivi” che si rivelano più lucidi degli eroi:

  • Ozymandias in Watchmen, che sacrifica milioni per salvare miliardi.

  • Killmonger in Black Panther, la cui rabbia nasce da una reale ingiustizia storica.

  • Thanos, il cui genocidio cosmico è motivato dal desiderio di evitare il collasso ambientale dell’universo (per quanto orribilmente sbagliato sia il metodo).

Ma Cypher è diverso. Lui non vuole cambiare il mondo. Vuole solo tornare a casa. Anche se casa è una bugia.

Non si tratta di dire se Cypher fosse “buono” o “cattivo”. Si tratta di riconoscere che The Matrix non ci offre solo una lotta tra la verità e la menzogna, ma un dramma esistenziale: quanto siamo disposti a sacrificare per la verità? E se la verità ci toglie ogni bellezza, ogni conforto, ogni speranza… è ancora un valore?

Cypher ci costringe a guardare noi stessi nello specchio digitale. E a chiederci: “Se fossimo noi al posto suo… davvero prenderemmo la pillola rossa?”



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