Tra tutte le critiche mosse al film Justice League — dalla regia altalenante alla CGI frettolosa, dal villain dimenticabile alla narrativa spezzata — ce n’è una che, più di ogni altra, mina l’integrità dell’intero progetto: l’appiattimento del team e la completa snaturazione di Batman.
L’universo narrativo di un cinecomic corale poggia su un principio basilare della narrazione: ogni personaggio dev’essere indispensabile. Non serve solo essere forti. Serve essere unici.
Guardiamo gli Avengers, ad esempio. Il loro successo non dipende da chi tira i pugni più forti, ma da come ogni membro offre una prospettiva, una competenza, una funzione:
Iron Man è la mente: inventore, stratega, motore tecnologico.
Capitan America è la coscienza morale e il collante del gruppo.
Hulk è la forza devastante ma incontrollabile, un’arma a doppio taglio.
Black Widow è l’intelligenza segreta, capace di leggere il nemico.
Hawkeye fornisce l’intelligence interna e lo sguardo umano.
Thor è la divinità, la chiave cosmica e il fratello del nemico.
In Justice League, al contrario, la dinamica crolla su se stessa perché quasi tutti i membri condividono lo stesso tratto dominante: essere dei “brawn”, muscoli. Con poche varianti superficiali.
Vediamoli:
Wonder Woman: superforza, resistenza, combattimento. Ha una corda magica per l’interrogatorio... che non usa mai. Il suo potenziale come diplomatica o storica viene ignorato.
Aquaman: muscoloso, bello, arrogante. Fa battute, beve birra, prende pugni.
Flash: giovane, ingenuo, velocissimo… e per il resto del film è un peso più che un valore.
Cyborg: l’unico con un vero arco narrativo. Hacker, soldato, uomo-macchina, è l’unico a muovere la trama e portare strumenti di analisi e interazione tecnologica.
Superman: onnipotente. Torna in scena e rende l’intero team narrativamente irrilevante. È forte, veloce, carismatico e risolve ogni problema da solo.
Batman: dovrebbe essere il più debole fisicamente… ma il più temuto. Un genio strategico, un detective infallibile, un manipolatore psicologico. In Justice League, invece, diventa solo… un tipo in armatura che mena i pugni e guida mezzi grossi. Il “papà stanco” del gruppo. Nulla più.
Ed è qui che il film fallisce clamorosamente.
Batman non è solo il miliardario con i gadget. È il pianificatore, il paranoico iperlogico, il calcolatore spietato che può perfino sconfiggere Superman se necessario. È l’uomo che pensa dove gli dei agiscono. Se Superman è Zeus, Batman è Odisseo. E invece, nel film, viene ridotto a carne da macello, buono solo a prendere botte fino al ritorno del vero protagonista: Clark Kent.
L’universo DC è da sempre caratterizzato da un tono più epico, archetipico e simbolico rispetto alla Marvel. Ma epico non vuol dire piatto. E soprattutto, non vuol dire ridurre ogni personaggio alla misura del proprio pugno. La forza narrativa sta nella varietà dei ruoli, nella tensione tra diversità, nella necessità di ciascuno.
Quando la Justice League diventa un gruppo di persone che menano forte ma pensano poco, il confronto tra loro perde interesse. E il pubblico lo avverte.
Il problema quindi non è che Batman sia fisicamente il più
debole.
Il problema è che gli hanno tolto tutto ciò che
lo rendeva temuto da dèi e uomini: l’intelletto, la
strategia, il dubbio, il metodo.
E così, Justice League non solo ha mancato il bersaglio. Ha fatto l’imperdonabile: ha trasformato Batman da mito a macchietta.
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