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Chi controlla i controllori? » |
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(Giovenale, Satire, VI.) |
Jack Kirby, creatore grafico dei
Fantastic Four e di tanti altri fra i primi supereroi Marvel, e,
secondo la polemica che egli stesso innescò nei primi anni '90,
possibile ideatore di quegli stessi supereroi (questa polemica si
sviluppò negli anni ed è ancora irrisolta, ma noi consideriamo solo
che nel mondo del fumetto l'apporto del disegnatore è fondamentale
anche per l'ideazione del personaggio, e che, dunque, se Kirby non è
proprio l'autore, è per lo meno un coautore – come prova certa del
notevole contributo di Kirby alla creazione dei supereroi Marvel,
ricordiamo che i Fantastic Four ricordavano molto da vicino il suo
precedente Challengers of the Unknown, una serie di fantascienza
della DC), nel 1970, lasciò la Marvel per dissidi (già da allora)
con Lee.
Fu in questo periodo che inventò
l'originale e profonda, ma incompiuta, “saga del quarto mondo”.
All'interno di questa complessa e controversa saga, secondo Scatasta
“quasi un ritorno alle filosofie del Capitan America degli anni '40
che però mal si adattavano agli anni ‘70” (Scatasta, Bosco,
1991, p. 40), in realtà esistono almeno due serie che permettono la
trasmigrazione dei temi cari alla Marvel in casa DC: The New Gods e
Kamandi.
The New Gods può essere annoverata in
questo gruppo per l'alto grado di problematizzazione. Si trattava
nuovamente di dei, come nel caso di Thor, ma di nuovi dei, fin troppo
umani come si evince facilmente dai dialoghi che estrapoliamo dalla
serie. Portiamo all'attenzione del lettore il fatto che il
protagonista, Orion (“uno con un nome irlandese tipo O'Ryan”,
commenta un umano nella serie per via del nome omofono che il dio
utilizza per presentarsi agli umani – si capisce come un mondo dove
un dio possa, negli Stati Uniti, prendere un nome irlandese, debba,
per forza di cose, essere un mondo dove anche essere un dio non
comporti qualcosa di particolare, ma sia una sorta di mestiere, con
l'effetto di relativizzare anche la figura del dio stesso), sia
figlio degli dei “cattivi” e combatta coi “buoni”, creando,
quindi, in linea con la Marvel e, anzi, accentuandone la tematica,
una voluta confusione nel distinguere il bene dal male. Orion,
infatti, come un novello Dr. Jekyll and Mr. Hyde, ha un volto “buono”
e uno “cattivo” che si rivela nel momento della furia.
Riportiamo, a tal proposito un brano che si svolge dopo la lotta fra
Slig, uno dei “cattivi”, e Orion, dopo che quest'ultimo ha
mostrato il suo vero volto:
“S: La tua brama distruttiva ti ha
costretto a portare allo scoperto il tuo vero volto, Orion! Dunque,
le voci non mentivano!
O: Già, rospo gracchiante! È vero!
Orion è deforme!
S: Orion, sei molto di più! Sei una
bestia furiosa e ossessionata!
O: Lo sarei, Slig! Lo sarei! Se non
fosse per la scatola madre! La scatola madre mi protegge! Mi dona
quiete e mi riplasma! Mantenendomi parte di Nuova Genesi (il
“paradiso” dei New Gods, N. d. R.)!!
S: Ah ah ah! Orion è un mostro! Ah ah
ah!” (Kirby, Roma, 1999, p. 120).
Riportiamo ancora una frase dello
stesso Orion, con la quale chiosa alla fine di uno degli episodi:
“O: Gli dei sono comunque sempre
vicini!… parte integrante della vita umana! Giganteschi riflessi
del bene e del male che nascono dentro gli uomini stessi” (ivi, p.
242).
Questa frase racchiude in maniera
estremamente sintetica tutto il discorso intorno ai supereroi
problematizzati (in questo caso Kirby si spinge all'estremo di creare
dei problematizzati).
Kamandi, invece è la storia de
“l'ultimo sopravvissuto a un Grande Disastro che aveva reso gli
uomini bestie e le bestie «civili» e belligeranti come gli uomini”
(Scatasta, Bosco, 1991, p. 40). Si può cogliere facilmente il
parallelo coi cinque film della saga del “Pianeta delle scimmie”,
dove le scimmie regnano e gli uomini sono animali non parlanti.
Kamandi, dunque, è un picco estremo, probabilmente ancora troppo
all'avanguardia per l'epoca, della dialettica del “diverso”.
Egli, infatti, è l'unico (o uno dei pochi) uomini coscienti
dell'apartheid che sta vivendo e che non può condividere questa
coscienza con il resto dell'umanità bistrattata proprio perché
questa manca ancora di quella stessa coscienza che le sarebbe
necessaria per la sua autodeterminazione.
Riportiamo un dialogo che si svolge fra
Kamandi e un giaguaro mentre che quest'ultimo sta andando all'assalto
del nostro eroe:
“G: Ti farò a pezzi, piccolo…
Unnnnnnh!
(Kamandi lo stordisce con un pugno)
K: Non tutti quelli della mia razza
sono facile preda! So pensare! So arrabbiarmi! E posso combattere.
Che ne dite?” (Kirby, Milano, 1978, p. 32).
Possiamo notare quanto questo brano
potrebbe essere tratto da un qualsiasi romanzo che tratta della
schiavitù degli afro-americani.
Oltre alla particolare esperienza di
Kirby alla DC, la trasmigrazione di temi (anche per ovvi motivi di
concorrenza – la Marvel con quei temi aveva successo) proseguì,
molto timidamente, per tutti gli anni '70 fino agli anni ‘90, con i
temi sociali introdotti da qualche autore particolarmente sensibile,
ma senza che questi andassero più di tanto ad intaccare la natura
dell'eroe.
Citiamo solo un esempio, tratto dalla
serie Green Lantern/Green Arrow del 1972. In questa serie, già
basata sullo scontro di vedute dei due eroi “verdi” di casa DC,
nei numeri 5 e 6, Green Arrow scopre che il suo pupillo Speedy è un
tossicodipendente.
Traiamo da qui uno sfogo di un amico di
Speedy afro-americano e tossicodipendente, che è un po' una summa
del disagio del diverso, nato da un dialogo precedente con altri
tossicodipendenti che raccontano l'origine della loro dipendenza:
“Oooo… sei proprio una forza! Lo
insultano, eh? «Muso giallo» è niente rispetto ai nomi che danno a
me… Negro è solo per iniziare! Ma è dopo che sono veramente
poetici! Non è per come ti chiamano, è per quello che c'è nei loro
occhi amico, ecco perché mi faccio…” (O' Neil a, Nepi, 1992, p.
59).
Citiamo anche la copertina del n° 5
dove, di fronte alla scoperta del fatto che Speedy si droghi,
palesano il loro scontro di vedute:
“G. L.: You always have all the
answers, Green Arrow! Well, what's your answer to that..?
G. A.: My ward, Speedy is a junkie!”
(ivi, p. 26).
Ricordiamo, a tal proposito, che Green
Lantern è un umano nominato, da delle entità di controllo
dell'universo, guardia di questa parte di universo. Ha, dunque, un
approccio più o meno da poliziotto: sa cosa deve fare e cerca di
farlo bene. Green Arrow, invece, è un ricco filantropo, impegnato
nel mondo quotidiano e, dunque, in teoria con un'ottica più
relativistica ed ironica. Sono personaggi che, nel loro sodalizio,
ovviamente, litigano spesso, fino al paradosso espresso in questa
copertina: l'assolutista ha dubbi quando non conosce la verità, il
relativista ha la certezza del dubbio e del conoscere il mondo meglio
dell'assolutista, certezza che crolla quando non si tratta più di
speculazioni, ma di drammi personali. Questa crisi del relativista
(ricordiamo, comunque, che gli eroi DC non vivono mai una condizione
essenziale e personale di disagio come nel caso degli eroi Marvel: il
disagio, al limite, può arrivare solo dall'altro da sé) sfocerà,
infatti, nel numero successivo della serie, in una reazione
tutt'altro che liberale, che riportiamo:
“Sei uno sporco drogato… non sei
meglio di tutti quegli altri mocciosi!” (O' Neil b, Nepi, 1992, p.
71).
Nelle serie regolari, quindi, i temi
sociali entrano cautamente in casa DC, senza, peraltro, sconvolgere
più di tanto l'essenza stessa dell'eroe.
La DC rimarrà, quindi, abbastanza
fedele alla linea, ma sarà questa casa editrice, paradossalmente, a
dire una parola importante sull'argomento “supereroe diverso”.
Nell'andamento dialettico questa sarà una punta di svolgimento
massimo ed estremo del tema, svoltasi fuori delle serie regolari, ma
che ha cambiato, probabilmente per sempre il modo in cui qualsiasi
autore o lettore percepiscano il concetto di supereroe. Analizziamo
questa fase nei paragrafi successivo.
Il 1986 è, dunque, l'anno della resa
dei conti per il concetto di supereroe, dopo vent'anni di esistenza
del supereroe problematizzato. È l'anno di “Watchmen”, che
vedremo nel paragrafo successivo, e di “The Dark Knight returns”,
l'opera in cui il supereroe DC più oscuro, appunto, e, dunque, più
diverso, ovvero Batman, sarà smitizzato e distrutto.
Questo tipo di distruzione coglierà
Batman, ma si tratterà di una metafora per mettere in dubbio
l'operato e, dunque, l'essenza stessa del supereroe in sé. Si
chiede, Miller, se l'essere un supereroe non implichi, in sé e per
sé, l'essere fascista.
Miller, immagina, in un futuro
ipotetico, un Batman ritiratosi dall'attività di protettore di
Gotham City (città immaginaria del mondo DC), anziano e debole di
cuore, ma che, dopo un anno di inattività, visto l'oggettivo aumento
di criminalità, non resiste e torna sulle scene. Questo Batman,
però, è come un Batman a nudo, che palesa tutta la problematicità
insita nel suo personaggio da sempre, ma sempre, fino a quel momento,
latente. Si legge, chiaramente, tutto ciò che, negli anni
precedenti, si leggeva in maniera subliminale, ovvero il fascismo
insito nell'essere un eroe solitario che pur risolve i problemi
pratici dell'uomo, ma lo fa senza autorizzazione e seguendo solo la
sua etica e il suo istinto, in barba all'etica condivisa.
Riportiamo due brani significativi. Il
primo è tratto da uno scontro con un criminale ed è il racconto di
ciò che Batman pensa mentre combatte. Il secondo è la domanda che,
in un'intervista, un giornalista televisivo rivolge ad uno psicologo
da talk-show.
“Gli faccio mangiare un po' di
spazzatura… poi lo aiuto a inghiottirla. Un colpo perfetto al
diaframma… mi preoccupo che vada giù troppo presto… […]
…Colpiscilo… con tutto quello che ti resta… il suo collo regge…
il suo naso… si frantuma… ossa che mordono le mie nocche… […]
…un colpo al collo… dovrebbe insegnargli molti nuovi generi di
dolore…” (Miller, Roma, 2005, pp. 83–5).
“Dr. Wolfer… lei ha dichiarato che
Batman è responsabile degli stessi crimini che combatte. Eppure,
nelle settimane che hanno fatto seguito al suo ritorno, abbiamo
assistito a un crollo delle attività criminali. Lei come lo spiega?”
(ivi, p. 69).
Notiamo quanto l'atteggiamento di
Miller di tipo anarcoide, a differenza di quello di Moore che
analizzeremo poi. Egli dissacra e disumanizza la figura dell'eroe,
ma, allo stesso modo, sbeffeggia chi si schiera contro questo tipo di
eroe, facendogli vestire la parte di uno psicologo “commerciale”.
Miller, dunque, arriva all'estremo del dubbio, all'estremo del
relativismo, fino al punto di non ritorno che farà segnare, almeno,
fino ad oggi, una svolta notevole al discorso sul supereroe diverso.
Niente sarà più uguale nel mondo dei supereroi, con un paradosso.
Il mondo DC guadagnerà in profondità delle storie sintetizzando
questa profonda antitesi rispetto agli eroi monolitici in maniera
abbastanza pacifica (il maggiore interessato da questa “rivoluzione”
sarà, ovviamente, Batman, che non poteva non essere ripensato e non
poteva non affrontare nuove tematiche, sempre più introspettive e
tormentate), mentre il mondo Marvel, oltre a coltivare personaggi
che, invece, vivono appieno l'antitesi di Miller e ne sono quasi una
continuazione, come nel caso, già affrontato di The Punisher, vive
un po' di rendita, come abbiamo già visto, non sviluppa una sua
sintesi, e, forse, fa un balzo indietro in quanto a profondità per
tornare all'evasione pura (crediamo che un esempio altamente
chiarificante di questo processo sia la seconda serie di Silver
Surfer, del 1987, dove “in the first issue, he was released from
his confinement on Earth: after going back to Zenn-La, he realized he
could not bring himself to spend the rest of his life there and
resumed his journeys through the cosmos” (Gabilliet, …. …. p.
212), perdendo così la caratteristica tragica di esiliato e
diventando un “normale” supereroe cosmico).
Alan Moore è forse l'autore di fumetti
che, senza discostarsi mai troppo dal fumetto tradizionale, crea
qualcosa di molto vicino alla forma “romanzo”, per i temi, per le
scelte stilistiche, per la profondità, per lo spessore dei
personaggi e, spesso, per la lunghezza. Non a caso la sua è una
formazione da fumetto underground. Questo tipo di fumetto era
presente in varie forme in diversi paesi (vedi anche il caso della
rivista Metal Hurlant in Belgio o di Andrea Pazienza e di alcune
riviste come Frigidaire in Italia), in particolare negli anni '80, ma
in Inghilterra (dove nacque e lavorò nei primi tempi Moore) prese
una piega ben definita, a causa anche del thatcherismo, del post-punk
e della new wave. La rivista più prolifica in tal senso era 2000 AD,
sulla quale iniziò a scrivere Moore nel 1980.
È importante, per una corretta lettura
di ciò che, per gli autori undergound, era la Gran Bretagna degli
anni '80, sentire proprio le parole di Moore, dall'introduzione del
suo “V for Vendetta”: “Siamo nel 1988. Margaret Thatcher sta
iniziando il suo terzo incarico di governo e parla fiduciosa di
un'interrotta leadership dei Conservatori fino al prossimo secolo.
Mia figlia minore ha sette anni e i tabloid stanno diffondendo l'idea
di campi di concentramento per le persone malate di AIDS. La nuova
polizia antisommossa indossa visiere nere, proprio come i loro
cavalli, e sul tettuccio dei loro cellulari sono montate videocamere
ruotanti. Il governo ha espresso il desiderio di estirpare
l'omosessualità, persino come concetto astratto, e si possono solo
fare ipotesi su quale sia la prossima minoranza contro cui si
legifererà. Penso di prendere la mia famiglia e andarmene via da
questo paese, prima o poi, entro un paio di anni. È diventato freddo
e cattivo e non mi piace più” (Moore, Roma, 2006, p. 7).
Quest'introduzione ad un fumetto
sancisce chiaramente quanto, in realtà, i fumetti non siano solo
l'intrattenimento leggero che molti immaginano.
Moore iniziò a lavorare presso una
casa madre, ovvero presso la DC, nel 1983, recuperando un personaggio
del filone horror di questa casa editrice impegnata soprattutto coi
supereroi, ovvero Swamp Thing, rinnovandolo e creando una delle serie
più vicine al linguaggio, questa volta, poetico, avvicinandosi
notevolmente all'espressività di Blake o di Burroughs (non per
niente in “Watchmen” citerà Blake e P.B. Shelley) e toccando uno
dei picchi più alti di introspezione del “diverso” (Moore
arriverà, in questa serie, a raccontare in una maniera unica,
geniale e allucinata l'unione sessuale di questa “cosa della
palude” – che, in realtà, è un vegetale – con la natura,
raccontandone le sensazioni).
Abbiamo posto Watchmen alla fine di
questo percorso dialettico, poiché ci sembra l'opera più matura a
proposito di diversità, relativismo e problematizzazione dell'eroe.
Dà un impulso positivo alla crisi
dell'eroe, perché lo stravolge e lo problematizza, ma dal di fuori.
Non critica o distrugge, per esempio,
come fa Miller l'eroe stesso, perché, per le regole non scritte del
fumetto, l'eroe ha senso se non muore o se non stravolge troppo la
sua essenza.
L'opera di Miller, in qualche modo,
segna la fine dell'eroe, poiché l'immaginario collettivo risente
della caducità dell'eroe stesso. Il supereroe, dunque, può essere
messo in discussione purché non in maniera incisiva o se si utilizza
un artificio nel racconto dell'evento.
Il caso di Watchmen è esattamente
questo. Moore immagina una situazione simile a quella del Batman di
Miller, con gli eroi dichiarati illegali dal governo e ritiratisi,
dunque, a vita privata.
L'artificio retorico, però, sta nel
fatto che Moore non utilizza gli eroi di sempre, ma degli eroi minori
di una casa editrice minore che la DC aveva rilevato. Può compiere,
dunque, una sorta di operazione di meta-fumetto funzionale – questa
sì – all'andamento dialettico del tema che stiamo analizzando,
tant'è che, come abbiamo già osservato, la DC, prima non
protagonista della rivoluzione tematica operata dalla Marvel, troverà
una sintesi decisamente più efficace dell'argomento “diverso”
negli anni '90 e nel decennio in corso.
Tornando a Watchmen, una caratteristica
fondamentale è la totalità dell'opera. Moore riesce, cioè, a
partire da un discorso già complesso, cioè la messa in discussione
del supereroe, a parlare in maniera profonda, intelligente e
artisticamente alta della politica, dell'amore, del fumetto in
generale, dell'informazione, della guerra, della fisica e della
metafisica.
La storia, in sintesi, è la seguente.
Si immagina un mondo dove i supereroi, nel 1985, sono considerati
illegali a partire da un determinato decreto. I supereroi, dunque, da
una decina di anni, si sono ritirati a vita privata. Un primo eroe,
The Comedian, (uno dei due più “problematici”) viene ucciso in
circostanze misteriose proprio prima della prima vignetta (che
rappresenta, infatti, la spilletta-simbolo dell'eroe, sopra il
marciapiede incrostato di sangue). Rorschach (l'altro “problematico”,
quasi pazzo – il nome, infatti, è tutto un programma) indaga, ma
viene incastrato e incarcerato. Nel carcere, a suon di psicoterapia,
si scoprirà il suo passato e il suo presente (madre prostituta,
ritardo mentale, vicinanza all'estrema destra, e così via). Il primo
Nite Owl, ha un'officina il cui cartello pubblicitario (“inquadrato”
spesso durante il fumetto, come a ricordare che quel concetto di eroe
e un concetto superato o da superare) recita “WE FIX 'EM! OBSOLETE
MODELS A SPECIALITY”. Anch'egli, autore, tra l'altro, di un
libro-verità in cui racconta i retroscena privati spesso infausti e
le motivazioni spesso poco alte che spingevano il supereroe a
comportarsi come tale, viene ucciso. L'attacco all'Afghanistan fa
presagire una guerra imminente fra le due superpotenze di allora.
Ancora, per dirla con le parole di Rorschach, “la prima Silk
Spectre è una vecchia puttana obesa che sta morendo in una casa di
riposo in California. Capitan Metropolis è stato decapitato in un
incidente d'auto nel '74. Mothman è in manicomio nel Maine.
Silhouette si è ritirata in disgrazia. Sei mesi dopo, uno dei suoi
nemici, una mezza tacca, l'ha uccisa per vendicarsi. A Dollar Bill
hanno sparato. Hooded Justice è scomparso nel '55” (Moore, Roma,
2005, p. 31). Nello stesso tempo, il Dr. Manhattan (trasformato da
radiazioni in un'entità potentissima che cambia la materia e vede il
tempo in maniera diversa dalla nostra), arma ufficiale del governo
americano, viene accusato di aver fatto ammalare di cancro tutte le
persone che gli son state vicine e si rifugia su Marte. La fidanzata
del Dr. Manhattan, la nuova Silk Spectre, figlia della prima,
piantata in asso dall'eroe-arma, inizia una relazione col nuovo Nite
Owl, ridotto ormai in solitudine a causa della fine delle attività.
I due riprendono a fare i supereroi, in barba alla legge. Dopo questa
azione da supereroi, Nite Owl risolve i problemi di impotenza fisica
che aveva avuto la prima notte con Silk Spectre. A questo punto
organizzano l'evasione di Rorschach, per unirsi all'indagine.
Scopriranno che l'autore del piano è un loro compagno d'avventure,
che ha la caratteristica di essere l'uomo più intelligente della
Terra, Ozymandias, che nel frattempo aveva costruito un impero
economico non indifferente, anche grazie al marketing fondato sul suo
personaggio. L'obiettivo era togliere di mezzo i potenziali ostacoli
per il suo piano più importante, che aveva premeditato negli anni,
ovvero fingere un attacco alieno che distruggesse mezza New York. Il
tutto per favorire la cooperazione fra le superpotenze, evitare la
guerra mondiale imminente e far nascere la pace. Effettivamente (a
differenza del cliché tradizionale: l'ideatore di un piano simile
sarebbe stato considerato un pazzo criminale, i buoni gli avrebbero
impedito di realizzarlo, il mondo sarebbe stato comunque felice e
contento) il piano riesce perché Ozymandias è veramente così
intelligente da riuscire ad impedire che gli altri gli mettano i
bastoni fra le ruote, e la Terra vive una nuova stagione di pace. Gli
altri eroi non possono far altro che prendere atto dell'operazione e
tornare a vivere nella maniera migliore possibile, ognuno, di nuovo,
nel suo privato.
Una scritta sui muri compare spesso ed
è, in realtà, una citazione da Giovenale, “WHO WATCHES THE
WATCHERS?”. Questa domanda sintetizza efficacemente tutta la
riflessione che si è cercato di fare in questa tesi. Il problema
fondamentale, dalla Marvel in poi, è un problema che poteva avere
solo una società che andava progressivamente liberalizzandosi e
democratizzandosi e, soprattutto, che andava ad avere più fiducia
nel proprio potenziale derivato dai singoli individui, liberandosi in
parte della fede negli dei, nella nazione in quanto tale, e dunque
nei supereroi “obsoleti”. Il problema, forse ancora irrisolto,
era basato proprio sulle domande: “chi autorizza qualcun altro a
decidere per me?” “se qualcuno lo autorizza, chi lo controlla?”
“se qualcuno lo controlla, con quali criteri lo fa, e con quale
autorizzazione?”.
Si capisce facilmente quanto queste
domande siano profonde ed attuali, proprio perché in parte ancora
senza risposta, e quanto il saper più o meno rispondere possa
dipendere solo dal grado di maturazione della società stessa.
Si può riscontrare, dunque, per
tornare alle tesi iniziali, quanto il fumetto, almeno quello di
supereroi, e almeno negli anni che abbiamo analizzato, abbia
contribuito in maniera attiva a questa maturazione. Quale sarà il
futuro del fumetto di supereroi statunitense e, se le tesi di
partenza sono valide, dunque, della società statunitense, è
difficile prevederlo, ma siamo invitati, anche grazie ai fumetti, ad
esserne per lo meno spettatori.
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