domenica 3 agosto 2025

Spider-Man contro Surtur: un confronto impari tra l’Arrampicamuri e il Signore del Fuoco

 


Nel vasto universo Marvel, uno scontro tra Spider-Man e Surtur appare immediatamente come un mismatch di proporzioni titaniche. Da una parte, abbiamo Peter Parker, l’eroe di quartiere, dotato di agilità straordinaria, senso di ragno e una mente brillante; dall’altra, Surtur, un essere cosmico di immensa potenza, paragonabile ai padri fondatori di Asgard come Odino stesso.

Surtur non è un semplice antagonista: è un’entità mitologica capace di sfidare e uccidere più volte Odino nell’aldilà, un gigante di fuoco la cui forza e potenza distruttiva superano di gran lunga quella degli dèi asgardiani in molti momenti della loro storia. Se Odino rappresenta il vertice del potere divino asgardiano, Surtur è una minaccia ancestrale che incombe sulla realtà, in grado di scatenare la fine di tutto con la sua spada fiammeggiante.

Spider-Man, per quanto coraggioso e abile, si confronta abitualmente con avversari alla sua portata: criminali, mutanti, alieni di medio livello. Nei fumetti, i suoi attacchi non hanno minimamente scalfito nemmeno personaggi come Loki, che spesso viene mostrato più potente di molti supereroi terrestri. Le forze fisiche di Spider-Man risultano insignificanti di fronte a guerrieri come Wrecker o eroi mitologici come Ercole, che pure hanno affrontato Thor in versioni più “classiche” ma comunque ben superiori a Peter Parker.

Analizzando i fatti: Thor base, storicamente più debole di Odino, è riuscito a mettere in difficoltà Loki, Wrecker e persino Ercole in alcune occasioni. Spider-Man, invece, è stato quasi irrilevante in questi confronti, incapace di arrecare danno significativo a nemici lontani anni luce dal livello cosmico di Surtur. La catena di forza dunque risulta chiara: Odino, Surtur, Thor base, Loki/Wrecker/Ercole e infine Spider-Man, che rimane molto indietro.

Per la proprietà transitiva, Surtur supera ampiamente Thor base, il quale è a sua volta più potente di Loki, Wrecker ed Ercole, tutti comunque molto più forti del nostro amichevole Uomo Ragno di quartiere. Di conseguenza, qualsiasi ipotesi su uno scontro tra Spider-Man e Surtur si traduce in un massacro unilaterale, con Spider-Man incapace di infliggere danni significativi a un’entità di tale portata cosmica.

È affascinante vedere quanto, nella narrativa dei fumetti, ogni personaggio mantenga un ruolo specifico e un livello di potenza ben definito, che riflette le loro storie e la loro mitologia interna. Spider-Man resta il simbolo dell’eroe umano, resiliente e intelligente, ma non destinato a confrontarsi direttamente con divinità e entità cosmiche come Surtur. Dunque, qualsiasi confronto tra i due non fa che sottolineare la natura stessa dei rispettivi universi narrativi e il loro posizionamento nella gerarchia dei poteri Marvel.



sabato 2 agosto 2025

Rorschach: Solo un Batman con cappello e impermeabile? Un’analisi del vigilante “realistico” di Alan Moore

 


Nel panorama dei vigilanti mascherati dei fumetti, la figura di Rorschach, creato da Alan Moore per Watchmen, spesso viene ridotta a una semplice variazione su un tema già visto: quella di un Batman in versione più cruda, con un cappello di feltro e un impermeabile al posto del classico mantello e cappuccio. Tuttavia, questa definizione rischia di banalizzare un personaggio complesso, che incarna una visione molto più radicale e psicologicamente intensa del vigilante mascherato.

Innanzitutto, è importante ricordare che Alan Moore non progettò Watchmen come una semplice storia di supereroi, ma come una riflessione profonda e spesso cinica sul concetto stesso di eroismo mascherato. Originariamente, Moore avrebbe voluto utilizzare i personaggi della Charlton Comics, come Peter Cannon, Thunderbolt, il Pacificatore, Capitan Atomo e il Blue Beetle nella versione Ted Kord, per poi trasporli in una dimensione più realistica e problematica. Da questi personaggi, nacquero rispettivamente Ozymandias, Nite Owl, il Comico e il Dr. Manhattan, mentre Silk Spectre derivò in parte da Nightshade ma si ispirò maggiormente a Black Canary per motivi di interesse narrativo.

Rorschach, invece, è un personaggio che, per sua natura e concezione, si distacca da questa linea di derivazione diretta. Egli rappresenta ciò che Moore immagina sarebbe un vigilante tipo Batman nella “vita reale”: un individuo tormentato, borderline, in bilico tra giustizia e fanatismo. Non un eroe idealizzato, ma un “pazzo” – come lo stesso Moore ha affermato – mosso da una visione estrema e inflessibile del bene e del male.

Da un punto di vista ideologico, Rorschach è decisamente più radicale e conservatore rispetto a Batman. Questo aspetto si collega alla genesi del personaggio in relazione a The Question, il vigilante creato da Steve Ditko, noto per la sua adesione a ideali oggettivisti ispirati da Ayn Rand. Mentre Batman spesso si muove in un limbo morale, oscillando tra giustizia e vendetta, The Question e quindi Rorschach incarnano una visione più netta, quasi integralista, di giustizia, che non ammette compromessi.

In questo senso, Rorschach non è una mera versione alternativa di Batman, ma piuttosto un’esplorazione più cupa e realistica del “vigilantismo”, portando all’estremo gli aspetti psicologici, morali e sociali del concetto stesso. La sua maschera, che cambia forme come macchie di Rorschach, simboleggia l’ambiguità e la complessità dell’identità, mentre la sua brutalità e il suo rigore inflessibile riflettono un mondo in cui la distinzione tra eroi e anti-eroi si dissolve.

Sebbene Batman, The Question e Rorschach appartengano alla stessa grande famiglia di vigilanti mascherati, il personaggio di Rorschach emerge come una critica e una reinterpretazione più estrema e realistica del mito del supereroe. La sua figura ci costringe a confrontarci con le zone d’ombra del concetto di giustizia e con la fragilità umana che si nasconde dietro ogni maschera.



venerdì 1 agosto 2025

Il Più Debole Portatore dell’Anello Blu: La Caduta di Shon, Lanterna Senza Speranza

Nel vasto universo delle Lanterne, dove la forza di volontà è il fondamento di ogni potere, emergono storie di eroismo e determinazione, ma anche di fragilità e crisi interiore. Tra queste, una figura poco nota ma estremamente significativa è quella di Shon, un giovane membro del Corpo delle Lanterne Blu, il corpo incaricato di mantenere la pace e la speranza nell’universo. La sua vicenda rappresenta un caso raro e sconvolgente: quello di un portatore dell’anello che perde il proprio legame con esso, perché considerato “senza speranza” dal potere stesso che dovrebbe sostenerlo.

Shon era una recluta recente del Corpo delle Lanterne Blu (BLC), introdotto in una delle fasi più drammatiche della storia del corpo: l’invasione di Reach, il pianeta natale delle Lanterne Blu. Fin dai primi momenti, la sua insicurezza e il disagio erano evidenti rispetto alla fermezza degli altri membri. Mentre i veterani affrontavano la crisi con decisione e determinazione, Shon sembrava sopraffatto dall’ansia e dal timore. Questa situazione si aggravò progressivamente, fino a quando fu chiamato dal leader del Corpo, St. Bro'dee Walker, a una missione delicata e cruciale: trovare una Lanterna Verde dispersa fuori dal pianeta, speranza ultima di resistenza contro gli invasori.

Fu in questo momento che la crisi di Shon toccò l’apice. Il giovane Lanterna comprese che la situazione era più grave e disperata di quanto avesse mai immaginato. In preda alla paura e al senso di impotenza, la sua volontà vacillò. È noto che gli anelli delle Lanterne scelgono e si legano a individui che dimostrano volontà, coraggio e speranza; ma un anello può anche distaccarsi, abbandonando chi non riesce più a sostenere il peso del proprio ruolo. Questo è esattamente ciò che accadde a Shon: il suo anello blu si staccò dal dito, un gesto che nella storia delle Lanterne Blu è rarissimo e che segna una sconfitta interiore profonda.

Questo evento non solo segna la caduta di un singolo portatore, ma apre una riflessione più ampia sulle pressioni emotive e psicologiche che gravano su chi indossa l’anello. La figura di Shon svela una realtà poco raccontata: non tutti i portatori sono eroi incrollabili, e persino la volontà più forte può essere messa in crisi. La perdita dell’anello è una manifestazione tangibile della fragilità umana dietro la maschera di potere, un momento in cui la disperazione supera la speranza.

È plausibile supporre che casi simili a quello di Shon possano essere più frequenti di quanto la narrazione ufficiale ammetta. Dietro il mito e la leggenda dei Corps, dietro la luce dell’anello e la forza dei guerrieri, si celano dubbi, paure e fallimenti che rimangono spesso nell’ombra. La storia di Shon ci invita quindi a considerare la complessità psicologica del ruolo di Lanterna, un incarico che richiede non solo potere ma anche una profonda resilienza interiore.

Shon rimane il simbolo del portatore più debole, non per incapacità fisica, ma per la perdita della speranza che alimenta ogni Lanterna Blu. La sua esperienza è un monito e una testimonianza, che ci ricorda come la vera forza non risieda solo nell’anello, ma nella volontà di chi lo impugna, e che anche i più luminosi possono vedere la loro luce spegnersi se la speranza li abbandona.

 

Batman anni ’60: tra nostalgia e parodia, perché la serie di Adam West divide ancora il pubblico




C'è un momento, incastonato nella memoria collettiva, che per molti rappresenta l’inizio di un’avventura: Robin si rivolge a Batman prima di salire sulla Batmobile e proclama con enfasi: "Energia atomica alle batterie... Turbine alla velocità!". È una battuta tanto iconica quanto rivelatrice dello spirito che animava la serie TV “Batman” andata in onda tra il 1966 e il 1968, con protagonista Adam West nei panni del Cavaliere Oscuro. Oggi, a quasi sessant’anni dalla sua prima messa in onda, quella serie continua a suscitare reazioni contrastanti: c’è chi la ricorda con tenerezza, e chi la liquida come una buffonata psichedelica fuori controllo.

Ma perché questa doppia percezione? La risposta risiede in ciò che la serie voleva essere, e in come è stata recepita da diverse generazioni.

A differenza delle versioni cupe, tormentate e realistiche che si sarebbero imposte nel fumetto dagli anni ’80 in poi — basti pensare a The Dark Knight Returns di Frank Miller o ai film di Tim Burton e Christopher Nolan — il Batman anni ’60 era camp, volutamente esagerato, grottesco e teatrale. La serie non voleva essere presa sul serio, e proprio per questo funzionava: rifletteva l’estetica pop del tempo, parlava ai bambini, ma anche agli adulti con una strizzata d’occhio costante.

I colpi di scena erano letteralmente esplosivi, con onomatopee animate come BAM!, POW!, ZOK! che piovevano sullo schermo durante ogni scazzottata. Le scenografie erano sgargianti, le trame semplici e morali, i dialoghi impregnati di retorica da manuale civico. Batman non era un vigilante perseguitato dai fantasmi del passato, ma un paladino della legalità sorridente che dispensava lezioni di buona condotta tra un inseguimento e l’altro.

Nonostante il ruolo centrale di Adam West — il cui aplomb impassibile era perfetto per sottolineare l’assurdità del contesto — la vera anima della serie risiedeva nei suoi villain indimenticabili. Cesar Romero (Joker), Burgess Meredith (Pinguino), Frank Gorshin (l'Enigmista) e Julie Newmar (Catwoman) erano caricature geniali, teatrali e irresistibili, che spesso rubavano la scena con interpretazioni tanto sopra le righe quanto carismatiche.

In molti casi, la serie veniva seguita più per i cattivi che per gli eroi. E non era un difetto, ma una scelta narrativa consapevole: lo spettacolo funzionava proprio perché viveva sul confine sottile tra parodia e celebrazione del mito.

Per chi ha vissuto quell’epoca — o ha scoperto la serie nelle repliche successive — “Batman” è un ricordo d’infanzia, un appuntamento fisso, un ponte tra l’innocenza e l’evasione. Non c’era la pretesa di realismo, né la pressione della continuity o del multiverso: c’era solo il piacere di un’avventura sopra le righe, dove il bene e il male si sfidavano a colpi di travestimenti improbabili e diacronie morali.

Ed è proprio questo che genera lo scarto generazionale: chi ha scoperto Batman attraverso le letture moderne o i film più recenti, tende a vedere la serie anni ’60 come ridicola, obsoleta, infantile. Chi invece l’ha vissuta — o rivissuta con gli occhi del bambino che era — tende a ricordarla come una festa visiva, un inno alla leggerezza, un’espressione libera e disinibita di un'epoca che non aveva paura di essere naïf.

Un punto che molti fan ancora rimpiangono è la mancata inclusione di Adam West nei film moderni di Batman, nemmeno in forma di semplice cameo. È un’assenza che brucia, non solo per motivi affettivi, ma perché West ha incarnato per milioni di spettatori il volto sorridente e gentile del Cavaliere Oscuro, contribuendo a farne un fenomeno pop globale.

In un universo cinematografico che ha saputo dare spazio a molti omaggi — da Michael Keaton a George Clooney — l’assenza di West nei film DC è una lacuna simbolica: la mancata riconciliazione tra l’ironia del passato e la gravitas del presente.

La serie di Batman con Adam West non è mai stata un errore di tono, ma una precisa scelta culturale, un ritratto del tempo in cui è nata. Era camp, era kitsch, era volutamente assurda. Eppure, nel suo eccesso, è diventata un classico.
Che tu la ricordi con affetto o con un sorriso imbarazzato, resta il fatto che — tra mille versioni dell’Uomo Pipistrello — questa è forse l’unica che ha avuto il coraggio di ridere di se stessa, e di farlo con eleganza.






giovedì 31 luglio 2025

Superman e l’energia di un Quasar: cosa accadrebbe se l’Uomo d’Acciaio venisse esposto a una delle forze più potenti dell’universo?

Cosa accadrebbe se Superman, il più celebre supereroe dell’universo DC, si trovasse davanti a un quasar, una delle fonti energetiche più potenti e devastanti mai osservate nell’universo conosciuto? La risposta, secondo la logica interna dei fumetti DC, non è solo affascinante: è apocalittica.

Un quasar (contrazione di quasi-stellar radio source) è un oggetto astronomico estremamente luminoso situato al centro di una galassia attiva, alimentato da un buco nero supermassiccio che inghiotte materia e rilascia energia a livelli stratosferici. Alcuni quasar sono così luminosi da brillare più dell’intera galassia che li ospita. Il loro output energetico può superare quello del Sole di miliardi o addirittura trilioni di volte, e ciò in intervalli temporali brevissimi.

Se consideriamo che Superman ottiene la sua forza dal Sole giallo terrestre, possiamo solo immaginare cosa significhi per il suo organismo essere esposto a una simile tempesta cosmica. Non parliamo più di assorbire energia solare: parliamo di immergersi in un’onda d’urto di potere assoluto.

Nel canone DC, è stato mostrato che l’esposizione di un Kryptoniano a fonti energetiche più potenti del nostro Sole può produrre mutamenti straordinari. Un esempio emblematico è il personaggio di H’El, un misterioso Kryptoniano che ha assorbito una frazione dell’energia di un quasar. I risultati? H’El ha sviluppato capacità che mettono in ombra persino quelle dell’Uomo d’Acciaio.

Oltre a possedere i classici poteri kryptoniani amplificati fino a livelli incalcolabili, H’El ha manifestato:

  • Telepatia

  • Telecinesi

  • Controllo della materia e dell’energia

  • Manipolazione dello spazio-tempo

  • Immunità a Kryptonite e magia

In altre parole, H’El ha dimostrato che un Kryptoniano, se sufficientemente caricato, trascende i limiti fisici noti, fino a sfiorare lo stato di divinità.

Molti fan considerano Superman Prime One Million, la versione futuristica e potenziata del personaggio creata da Grant Morrison, come l'apice del potere supermaniano. Dopo aver vissuto all’interno di un sole giallo per 15.000 anni, ha raggiunto uno stato di onnipotenza. Tuttavia, un'esposizione diretta a un quasar – che in pochi secondi può rilasciare più energia di miliardi di soli – potrebbe rendere anche quella versione obsoleta.

L’energia di un quasar rappresenta un acceleratore cosmico, che potrebbe in pochi istanti trasformare Superman in qualcosa di simile a un’entità astrale, capace non solo di muovere pianeti, ma anche di modificare la realtà stessa.

Uno degli aspetti più intriganti è che i poteri noti di Superman — forza, velocità, invulnerabilità, volo, vista calorifica, super-udito — rappresentano solo la superficie del suo potenziale biologico. Come sottolineato in diversi testi DC, i Kryptoniani possiedono una fisiologia capace di adattarsi e svilupparsi in base alla quantità e alla qualità dell’energia assorbita.

Non solo il corpo, ma anche la mente di un Kryptoniano si espande, acquisendo livelli di intelligenza superiori a quelli terrestri, fino a raggiungere uno stato di conoscenza assoluta. In questa prospettiva, Superman non sarebbe soltanto un guerriero invincibile, ma un essere cosmico illuminato, capace di manipolare le leggi fondamentali della fisica, dello spazio e del tempo.

Se un giorno Superman dovesse trovarsi esposto alla radiazione concentrata di un quasar, potremmo assistere alla nascita non di un supereroe, ma di una divinità vivente, un’entità capace di riscrivere il cosmo. Non si tratterebbe più di salvare la Terra: si tratterebbe di modellare l’universo stesso secondo nuovi principi.

Forse, come suggeriva lo stesso Lex Luthor nei fumetti, il vero limite di Superman non è mai stato la sua forza… ma la sua scelta cosciente di restare umano.



mercoledì 30 luglio 2025

Il meglio di Martian Manhunter: le storie imperdibili del detective di Marte

 

C’è un personaggio che, nonostante il suo status di membro fondatore della Justice League, continua a vivere ai margini del pantheon DC, celato tra le ombre della popolarità di Superman, Batman e Wonder Woman. Si tratta di J’onn J’onzz, alias Martian Manhunter, il cacciatore marziano, eroe tragico e riflessivo, lacerato dalla perdita del proprio pianeta ma profondamente legato alla razza umana. Eppure, tra chi lo conosce bene, J’onn è molto più che un comprimario: è il cuore segreto dell’universo DC. Ma quali sono le sue storie migliori?

Nonostante il personaggio sia apparso in centinaia di fumetti dal suo debutto nel 1955, è sorprendentemente difficile indicare delle “saghe definitive”. Tuttavia, esiste una serie che rappresenta forse la vetta narrativa e artistica della sua carriera editoriale: “Martian Manhunter” (Vol. 2), pubblicata tra l’ottobre 1998 e il novembre 2001.

Questa serie mensile, scritta da John Ostrander e illustrata da Tom Mandrake, è un'opera affascinante e sottovalutata, che ha saputo scavare in profondità nell'identità marziana di J’onn, coniugando introspezione psicologica, azione supereroistica e atmosfere noir. Ostrander — noto per il suo lavoro su Suicide Squad — tratteggia un Martian Manhunter complesso, diviso tra il desiderio di appartenenza e la consapevolezza della propria alterità.

Con 38 numeri pubblicati, la serie si distingue per il suo tono maturo, la costruzione coerente di un mito personale e un’impostazione quasi investigativa, che richiama le origini del personaggio come “detective da un altro mondo”. I disegni di Mandrake, potenti e visionari, danno corpo alle paure, ai ricordi e ai sogni del protagonista, trasformando ogni vignetta in una finestra sull’anima tormentata di J’onn.

Tra gli altri artisti coinvolti troviamo Jan Duursema, Phil Winslade, Bryan Hitch, Tim Truman, Doug Mahnke, Eduardo Barreto e Jamal Igle, mentre l’inchiostrazione è affidata a nomi come Michael Bair, Rick Magyar, Paul Neary e Patrick Gleason, che contribuiscono a un comparto grafico ricco e stratificato.

A corredo della serie regolare sono stati pubblicati due annuali:

  • Martian Manhunter Annual (Vol. 2) #1 (1998)

  • Martian Manhunter Annual (Vol. 2) #2 (1999)

Entrambi offrono approfondimenti tematici e narrativi che espandono ulteriormente la visione di Ostrander.

Per chi fosse interessato a recuperare queste storie, segnaliamo due edizioni raccolte pubblicate nel 2014:

  • Martian Manhunter: Son of Mars (febbraio 2014), che introduce il lettore all’universo solitario e malinconico del protagonista.

  • Martian Manhunter: Rings of Saturn (settembre 2014), che continua a esplorare il conflitto interiore di J’onn e la sua lotta per proteggere la Terra, la sua seconda casa.

Al di là di questa serie, esistono anche altri momenti salienti nella carriera editoriale del personaggio, tra cui:

  • “Justice League: A Midsummer’s Nightmare” – dove Martian Manhunter gioca un ruolo fondamentale nel ristabilire l’identità dei membri della League.

  • “JLA: New World Order” (Grant Morrison e Howard Porter, 1997) – la saga che ha rilanciato la Justice League e ha riportato J’onn al centro della scena supereroistica.

  • “Martian Manhunter” (Vol. 3, 2015) – una rivisitazione più recente e horror-fantascientifica del personaggio, a opera di Rob Williams e Eddy Barrows, in cui il protagonista scopre verità inquietanti sul proprio passato e la propria natura.

Eppure, se dovessimo consigliare un solo punto d’ingresso, quell’edizione di fine anni Novanta resta la più significativa. È lì che J’onn J’onzz diventa più di un eroe: diventa un simbolo della condizione di esilio, della memoria e dell’empatia.

In un’epoca in cui molti supereroi si definiscono attraverso il potere e la forza bruta, il Martian Manhunter si distingue per la sua umanità. È un alieno che non ha mai smesso di cercare casa. E forse, leggendo le sue storie migliori, possiamo trovarla anche noi.


martedì 29 luglio 2025

Cosa perderebbe davvero la Justice League senza Batman?

 

Nel vasto e mutevole universo della DC Comics, la Justice League è sempre stata una forza d'élite composta dai più grandi eroi del pianeta – e talvolta dell’universo. Tra alieni, semidei e velocisti quantistici, un uomo spicca per la sua assenza di poteri sovrumani: Bruce Wayne, il Cavaliere Oscuro. Ma cosa accadrebbe se la Lega decidesse di revocare la sua appartenenza? Qual è il vero costo della sua esclusione?

Sebbene possa sembrare, a prima vista, che l'addio di Batman non comprometterebbe la potenza militare della squadra, la verità è ben diversa. Ciò che si perderebbe non è la forza fisica, ma qualcosa di molto più prezioso: la mente più formidabile dell’intero universo DC.

È vero che Wayne Enterprises ha spesso messo a disposizione fondi per le operazioni della Justice League: dalla manutenzione della Watchtower ai veicoli personalizzati, dalla sicurezza digitale all’analisi forense. Tuttavia, la Lega dispone di altri membri facoltosi come Green Arrow (Oliver Queen) e Blue Beetle (Ted Kord), e in certi archi narrativi riceve addirittura finanziamenti governativi o alieni. Dal punto di vista puramente economico, Batman non è l’unico mecenate.

Ma sarebbe un errore pensare che il suo valore si limiti alla finanza.

La vera perdita per la Justice League sarebbe l’intelletto di Batman, e soprattutto il suo approccio strategico e analitico.
Come viene ricordato in Justice League of America #0, Superman stesso afferma:

“Ogni mistero che l’universo abbia mai affrontato – dalle strade di Gotham ai pozzi solari di Apokolips – Batman li ha risolti.”

Bruce Wayne è il detective definitivo, capace di anticipare minacce interdimensionali, scoprire complotti su scala galattica e prevedere azioni nemiche con una precisione quasi inquietante. Mentre altri eroi affrontano le crisi con poteri, Batman usa il ragionamento, la preparazione e la paranoia metodica. E spesso è proprio questo che fa la differenza.

Batman è anche lo stratega tattico per eccellenza. Ha elaborato protocolli per contrastare ogni singolo membro della League in caso di corruzione o controllo mentale (Tower of Babel ne è la dimostrazione più emblematica). Anche se ciò ha portato alla sua temporanea espulsione dalla squadra, la verità è che nessuno è più preparato di lui ad affrontare ogni eventualità.

Senza Batman, la Justice League sarebbe più vulnerabile a minacce interne, meno consapevole dei rischi etici e tecnologici, e meno capace di operare su più livelli contemporaneamente. La sua capacità di analizzare, prevedere e adattarsi è ciò che spesso tiene unita la squadra nei momenti più bui.

Paradossalmente, pur essendo il membro più spietato e pragmatico, Batman rappresenta anche una bussola morale alternativa. Mentre Superman incarna la speranza, Wonder Woman la verità, e Martian Manhunter la saggezza, Batman rappresenta la volontà assoluta di non arrendersi, anche quando la logica suggerirebbe il contrario.
È l’uomo che lotta tra dei, e la sua sola presenza ricorda al resto del team che l’umanità vale la pena di essere salvata.

La Justice League senza Batman non sarebbe impotente. Ma sarebbe incompleta.
Senza di lui, mancherebbe il filtro critico, l’analisi implacabile, la mente che può trovare soluzioni dove nessuno le vede. Batman non è solo un membro della League: è il suo scudo mentale, il suo occhio nel buio, la sua ultima linea di difesa contro l’imprevedibile.

In un mondo dove ogni giorno può essere l’alba di un’apocalisse cosmica, rinunciare a Batman equivale a smettere di prepararsi all’impossibile. E per la Justice League, non c’è errore più grande.