mercoledì 14 maggio 2025

Tokyo, ponte delle lacrime: dove finisce il sogno di Joe Yabuki e inizia la realtà dimenticata del Giappone

 

Appena il sole comincia a filtrare tra le geometrie d'acciaio e cemento della capitale giapponese, una figura solitaria si fa strada nel quartiere un tempo noto come San’ya. Il nome è scomparso dalle mappe ufficiali negli anni ’60, ma resiste nell'immaginario collettivo grazie a Ashita no Joe, capolavoro dello spokon manga, opera firmata da Asao Takamori (pseudonimo di Ikki Kajiwara) e illustrata da Tetsuya Chiba. E in questo frammento dimenticato di Tokyo, sotto un cielo velato e tra le ombre del passato, si trova il cuore simbolico di quella storia: Namidabashi, il Ponte delle Lacrime.

Oggi non esiste più alcun ponte. Il canale su cui sorgeva è stato interrato, e al suo posto si allarga un incrocio anonimo, frequentato da pochi passanti e sorvegliato da un vecchio cartello che racconta, con discrezione, la triste origine del nome. Qui venivano condotti i condannati a morte, verso l’ultima stazione della loro esistenza. Le lacrime, dunque, non erano quelle della povertà, ma della fine.

Ma a differenza dei condannati di ieri, i dimenticati di oggi — senzatetto, jōhatsu, anziani invisibili — sono ancora in cammino, bloccati in una sospensione esistenziale. Nel quartiere che una volta fu casa del Tange Boxing Club di Danpei Tange e rifugio dell’irriducibile Joe Yabuki, nulla sembra davvero cambiato. Eppure, tutto è cambiato.

Il paesaggio urbano è una sequenza ossessiva di baracche improvvisate, palazzi scalcinati dell’epoca Shōwa e ruggine che divora i pannelli di lamiera. Non c’è traccia di bellezza. Le insegne sono scrostate, i teloni sbrindellati, l’asfalto macchiato di nero. Ma davanti ad alcune porte, si notano fiori freschi: segni di vita, o forse di resistenza.

Il Tamahime Park, dove Joe si rifugiava nei primi capitoli del manga e dove parlava con Noriko in un raro momento di dolcezza, oggi è sbarrato. Le catene chiudono l’ingresso, e dietro si intravedono solo un vecchio orologio e un rettangolo verde desolato. Sul lato opposto, tra un’altalena e uno scivolo, i teli blu usati per l’hanami sono diventati tetto e pareti di una baraccopoli silenziosa.

I senzatetto — molti dei quali in età avanzata — si aggirano o restano immobili, come anime in cerca di un luogo che non li rifiuti. Hanno gli anni di Joe, o forse di Danpei. Da giovani leggevano le sue imprese, le sue battaglie contro il destino, le sue sconfitte brucianti e le sue vittorie strappate alla strada. Joe era uno di loro, un eroe nato dal nulla, cresciuto tra baracche, carcere e pugni. E per questo, anche a distanza di sessant’anni, ancora li rappresenta.

Più avanti, verso il fiume Sumida, compaiono i primi segni di un’altra Tokyo. Un negozio di biciclette, un conbini, le cisterne di gas che ancora presidiano l’orizzonte, come nel manga. Ma quella che un tempo era una zona marginale, lontana dalla narrazione turistica della metropoli, resta un’area dormitorio. Qui vivono coloro che non hanno scelto Tokyo, ma l’hanno subita. Gente in fuga da debiti, famiglie spezzate, lavori perduti. Gente che non ha più un nome.

Joe Yabuki, in fondo, fu sempre questo: un ragazzo senza origine, senza futuro, eppure colmo di vita. Un eroe romantico e autodistruttivo, che si spegne in silenzio su uno sgabello, dopo aver acceso le anime di un’intera generazione. La sua immagine sopravvive negli angoli dimenticati della città, ma anche nel cuore di chi, oggi, combatte una battaglia diversa: non contro avversari sul ring, ma contro il tempo, la povertà e l’indifferenza.

Quando si torna ad Asakusa, e la città ricomincia a pulsare con il suo ritmo ordinato di salaryman, turisti americani, vecchi in bicicletta e distributori automatici, la ferita aperta di Namidabashi resta lì, sotto pelle. Un dolore muto, come quello che solo i grandi personaggi sanno lasciare: quelli che non vincono davvero mai, ma che non si arrendono mai del tutto.

Joe non ha mai chiesto la nostra pietà. Solo la nostra memoria.

E oggi, in quel luogo senza più un ponte, continuano a scorrere le sue lacrime.



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