sabato 24 maggio 2025

Lupo Alberto: la rivoluzione contadina del fumetto italiano


Nel vasto panorama del fumetto europeo, spesso dominato da eroi mascherati e universi fantastici, c’è una figura atipica che, con un’ironia affilata e una surreale quotidianità, ha saputo conquistare il cuore di intere generazioni di lettori italiani: Lupo Alberto. Creato nel 1974 dal genio di Guido Silvestri – in arte Silver – questo lupo azzurro, più simile a un malinconico antieroe che a un predatore selvaggio, ha finito per diventare uno dei personaggi più longevi e amati del fumetto nazionale. Dietro l’apparente semplicità del tratto e delle gag, si nasconde però una satira agricola acuta e un ritratto sociale stratificato, che merita oggi una lettura più attenta e matura.

La prima apparizione ufficiale di Lupo Alberto risale al novembre del 1974, sulle pagine della rivista Corriere dei Ragazzi. Ma è a partire dal 1985, con la pubblicazione della testata omonima a cadenza mensile, che il personaggio conosce una vera e propria esplosione di popolarità. Ambientato in una fattoria chiamata McKenzie, il microcosmo narrativo di Lupo Alberto ruota attorno a una serie di animali antropomorfi, ciascuno portatore di tic, manie e ossessioni tipicamente umane.

La trama di fondo, in apparenza ridotta al minimo, è la seguente: Lupo Alberto tenta in ogni modo di eludere la sorveglianza del mastino Mose, guardiano della fattoria, per poter incontrare la sua fidanzata, la gallina Marta. Ma, in realtà, la struttura narrativa funziona come cornice per un’analisi sociale più profonda. Le dinamiche di gruppo degli animali della McKenzie offrono lo spunto per riflessioni su temi quali l’amore, l’alienazione, la gelosia, l’omologazione, l’ansia da prestazione e il conformismo.

Lupo Alberto non è mai stato un semplice personaggio comico. Sin dagli esordi, Silver lo ha costruito come un individuo riflessivo, spesso in preda a dubbi esistenziali e al senso di inadeguatezza. La sua figura si inserisce in quella tradizione italiana che va da Fantozzi a Mister Rossi, in cui il protagonista non vince mai, ma riesce comunque a mantenere la propria dignità, talvolta attraverso l’autoironia, talvolta attraverso la pura resistenza passiva.

La fattoria McKenzie non è altro che una rappresentazione in miniatura dell’Italia del boom economico e post-boom: una comunità chiusa, conservatrice, dominata da gerarchie implicite e da una diffidenza strutturale verso l’altro – l’estraneo, il diverso, l’irregolare. Il lupo – figura classicamente marginale e temuta nel folklore – qui viene umanizzato fino all’estremo, diventando il simbolo stesso dell’individuo che tenta di inserirsi in una società che lo rigetta.

Mose, il cane da guardia, incarna la forza bruta dell’ordine costituito. Marta, la gallina amata da Alberto, è l’emblema della dolcezza domestica e della fedeltà tradizionale. Gli altri animali – dal maiale Glicerina alla talpa Cesira, dal cavallo Krug alla pecora Alice – formano un coro greco grottesco, pieno di vizi e meschinità. Ma è proprio grazie a questa coralità ben costruita che le storie funzionano: ogni personaggio è lo specchio deformato di una tipologia umana riconoscibile.

Nel corso dei decenni, Lupo Alberto ha mantenuto una coerenza grafica e narrativa sorprendente, pur adattandosi ai mutamenti culturali. A partire dagli anni ’90, Silver ha cominciato a utilizzare il personaggio anche in contesti extra-fumettistici, affidandogli campagne di comunicazione su temi civili: prevenzione all’AIDS, lotta contro il fumo, rispetto per l’ambiente. È stato uno dei primi casi in Italia in cui un fumetto satirico ha saputo farsi veicolo di educazione pubblica senza tradire la propria identità artistica.

La maturazione del personaggio si riflette anche nei toni delle storie più recenti, dove il sarcasmo cede spesso il passo a una riflessione amara sul mondo contemporaneo. Lupo Alberto oggi è un adulto che osserva con disincanto una realtà che fatica a riconoscere, ma che continua a raccontare con tenacia e umanità.

Se si misura il valore di un personaggio fumettistico in base alla sua capacità di attraversare le generazioni, Lupo Alberto è senz’altro un caso emblematico. I bambini degli anni ’80 lo ricordano per le strisce divertenti e le serie animate trasmesse in televisione. Gli adulti di oggi lo rileggono con occhi diversi, scoprendo in quelle tavole un’ironia agrodolce, a volte persino crudele, che sfugge alla lettura infantile.

Oggi la figura di Lupo Alberto resiste, nonostante il mutato panorama editoriale, grazie a ristampe, raccolte tematiche e una presenza stabile nelle librerie. La sua longevità non è solo frutto di nostalgia, ma di una profondità narrativa che continua a parlare al lettore con onestà e acume.

In un mondo saturo di supereroi invincibili, Lupo Alberto rimane un simbolo di fragilità consapevole. Con il suo manto azzurro, il muso allungato e l’espressione tra il sarcastico e il rassegnato, rappresenta il cittadino comune, l’uomo medio che osserva il mondo con occhio critico, ma non rinuncia a sorridere. È la voce del dubbio in una società che pretende certezze, la risata liberatoria in un contesto fatto di norme e confini.

Non è solo un fumetto. È una finestra aperta sulla nostra umanità più vera, quella che si muove tra sogno e disillusione, tra slancio e caduta. E proprio per questo, forse, Lupo Alberto continuerà a vivere, finché ci sarà qualcuno che avrà bisogno di sorridere delle proprie fragilità senza sentirsi solo.




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