Nel vasto e iperbolico universo narrativo della Marvel, Hulk è ben più di un gigante verde che distrugge tutto ciò che incontra. È un prisma narrativo, capace di rifrangere la figura dell’uomo moderno in una miriade di incarnazioni: rabbioso, fragile, vendicativo, cosmico, talvolta persino tirannico. E tra queste forme, quella di Red Hulk – il cosiddetto Hulk Rosso – si è spesso trovata in secondo piano, oscurata dal peso mitico di Bruce Banner. Ma sarebbe un errore archiviarla come semplice variazione cromatica.
Apparso per la prima volta nel 2008 sulle pagine di Hulk vol. 2, Red Hulk è il risultato di un’operazione di decostruzione e reinvenzione. Dietro l’aspetto infuocato si nasconde il generale Thaddeus "Thunderbolt" Ross, storico antagonista di Banner, che diventa esso stesso ciò che ha sempre disprezzato. È un ribaltamento potente: l’uomo che inseguiva il mostro finisce per abbracciare il mostro dentro di sé. In termini narrativi, Red Hulk incarna l’ira sistemica, la rabbia istituzionalizzata – quella militare, pianificata, strategica – in contrasto con la furia primitiva e istintiva del classico Hulk. Il suo ruolo nei Thunderbolts e negli Avengers non è mai quello del salvatore, ma del deterrente: una bomba umana che si può dirigere… almeno fino a un certo punto.
Accanto a lui, si stagliano molteplici altre incarnazioni. C’è la She-Hulk Rossa, alias Betty Ross, figlia di Thaddeus e amante di Banner. Un simbolo di quanto le dinamiche familiari e affettive possano essere contaminate dalla guerra e dalla sperimentazione, in un dramma shakespeariano a base di radiazioni gamma. Poi c’è A-Bomb, la versione blu di Hulk nata da Rick Jones, figura leggera ma non meno significativa: rappresenta la trasformazione involontaria dell’eroe marginale in pedina di poteri più grandi di lui.
Ancora più rarefatte e inquietanti sono le forme come Joe Fixit, il grigio Hulk da casinò, astuto e ambiguo; World Breaker Hulk, distruttore di mondi e simbolo di un’ira cosmica portata all’estremo; o The Maestro, un Hulk del futuro, corrotto dal potere, spietato e onnipotente. Ogni incarnazione risponde a una domanda differente: cosa succede quando il dolore viene represso? Quando il potere diventa totalitario? Quando l’identità implode?
Persino versioni più oscure e poco note – come Kluh, generato dalla tristezza più profonda, o Super-Hulk, evoluzione surreale del personaggio in contesti narrativi estremi – non fanno che approfondire il tratto forse più importante di Hulk: la sua instabilità. Hulk non è un personaggio con un arco definito, ma una collezione di possibilità. Una metafora vivente delle sfaccettature dell’animo umano.
In questo contesto, Red Hulk si ritaglia un ruolo preciso: quello dell’antieroe consapevole, costruito sulla contraddizione. È Hulk senza la scusante della perdita di controllo. È violento per scelta, non per istinto. Questo lo rende meno empatico, certo, ma più affilato da un punto di vista tematico. Non è la rabbia che ci travolge, ma quella che scegliamo di coltivare.
Nel mondo sempre più stratificato della narrativa supereroistica, dove ogni personaggio viene duplicato, contaminato, ribaltato, Hulk resta uno dei più efficaci specchi delle nevrosi contemporanee. Il fatto che oggi esistano versioni verdi, rosse, blu, grigie e perfino future dello stesso individuo, non è un eccesso da universo a fumetti: è la dimostrazione che il vero “superpotere” di Hulk è essere una tela su cui proiettare tutto ciò che non vogliamo ammettere di noi stessi.
Forse Red Hulk non è il più importante. Ma è fondamentale per capire quanto siamo pronti a trasformarci, pur di vincere una guerra che – spesso – abbiamo iniziato da soli.
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