Gotham City ha i suoi spettri, e nessuno è più elusivo — o teatrale — del Cavaliere Oscuro. Da decenni, Batman è noto per una delle sue mosse più iconiche: scomparire nel nulla, lasciando i suoi interlocutori a metà frase, mentre si girano sbigottiti chiedendosi “dov’è finito?”. Una trovata che si ripete con puntualità matematica, tanto nei fumetti quanto nelle trasposizioni cinematografiche, fino a diventare un rituale narrativo. Ma come fa davvero Batman a svanire in piena notte, o peggio, in pieno giorno, spesso da spazi aperti e sorvegliati da esseri dotati di super sensi?
La risposta, sorprendentemente, non è magia. È metodo. E anche un pizzico di complicità collettiva.
Cominciamo dai fondamentali. Batman è un maestro della distrazione. Quando parla con qualcuno, raramente aspetta che l’altro finisca la frase. Si limita ad ascoltare ciò che gli serve, e poi si allontana — silenziosamente, in anticipo, con la precisione di un illusionista. Quel che resta, per chi lo osserva, è l'impressione di un’evanescenza fulminea, un taglio netto nella realtà.
In secondo luogo, sfrutta l’ambiente. Un’ombra, un angolo cieco, una porta socchiusa. Batman studia ogni stanza prima ancora di entrarvi. Il suo addestramento — nei fumetti ufficiali — lo ha reso un maestro nella furtività, al livello più alto possibile per un essere umano. Nella mitologia DC, è stato in grado di eludere persino un telepate, scivolando via con tale maestria da non lasciare tracce mentali, né acustiche, né visive.
Ma c’è di più. Alcuni episodi – considerati canonicamente validi – suggeriscono una spiegazione molto più sottile, quasi metanarrativa.
In alcune storie, il trucco non è tanto come Batman sparisca, ma perché nessuno cerchi davvero di fermarlo. Superman, che può vedere attraverso i muri, spesso si limita a commentare: “È sparito di nuovo.” Personaggi con sensi potenziati, visione a raggi X o udito supersonico sembrano semplicemente voltarsi nel momento esatto in cui il Cavaliere Oscuro si allontana. Perché?
Secondo alcune interpretazioni, anche questa è una forma di “patto narrativo” tra i personaggi e Batman stesso. Un rispetto implicito, un riconoscimento del suo bisogno di controllo e teatralità. Gli altri eroi, consapevoli del suo stile, sembrano scegliere di voltare lo sguardo, dandogli — letteralmente — la scena. Si crea così una specie di mitologia interna: Batman scompare perché tutti si comportano come se fosse in grado di farlo.
Un famoso scambio con il Commissario Gordon lo riassume bene. Dopo che Batman è scomparso nel bel mezzo di una conversazione, Gordon, invece di indagare o cercare di fermarlo, sospira: “Devo davvero smettere di parlare con lui sui tetti.”
La sparizione di Batman non è un trucco, né un potere. È identità. È parte del suo arsenale psicologico. L’obiettivo non è solo nascondersi, ma controllare la narrativa. Appari quando non ti aspetti nessuno, sparisci quando pensi di avere tutto sotto controllo. È un meccanismo di paura, rispetto e dominanza psicologica.
Ed è anche, in fondo, una dichiarazione teatrale: Batman non è come gli altri. Non vola, non solleva automobili, non brucia con lo sguardo. Lui si muove nell’ombra — letteralmente e metaforicamente. È l’unico eroe che scompare perché lo vuole. E tutti, in fondo, lo lasciano fare.
Per quanto assurdo possa sembrare, è una delle trovate più riuscite della narrativa moderna: farci credere che, se davvero volessimo scomparire... basterebbe che nessuno ci guardasse troppo da vicino.
E Batman? Be’, è già altrove.
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