Prima che il mondo conoscesse i Fantastici Quattro, prima che il Marvel Universe esplodesse in tutta la sua gloria pop e narrativa, Jack Kirby aveva già fatto tutto. Aveva già scritto le origini, delineato i poteri, immaginato lo spirito avventuroso di un quartetto di eroi che avrebbe rivoluzionato il fumetto americano. E lo aveva fatto — incredibilmente — per la concorrenza. Con Challengers of the Unknown, pubblicato dalla DC Comics nella seconda metà degli anni Cinquanta, Kirby anticipò, con inquietante precisione, l’anatomia narrativa e tematica dei suoi futuri Fantastici Quattro.
Non è un’iperbole da appassionati né una speculazione in stile What If...?. È una realtà documentabile, eppure spesso ignorata, che chiama in causa non solo la paternità creativa delle icone Marvel, ma anche il ruolo di Jack Kirby nella loro genesi. Non più semplice disegnatore al servizio delle intuizioni di Stan Lee, ma co-autore a tutti gli effetti. Anzi: per alcuni, l'autore vero e proprio.
Quando Fantastic Four #1 vide la luce, nel 1961, la stampa e i lettori acclamarono la nascita di un nuovo tipo di supereroe. Gli eroi con super-problemi, come amava definirli Stan Lee. Ma chi aveva veramente tracciato la rotta che portò Reed Richards, Ben Grimm, Sue e Johnny Storm a diventare il primo gruppo di supereroi della Marvel moderna?
La risposta risiede, almeno in parte, in una serie DC oggi semidimenticata: Challengers of the Unknown, apparsa per la prima volta su Showcase #6 nel febbraio 1957. I protagonisti erano quattro uomini — Rocky Davis, Red Ryan, Ace Morgan e il Professor Haley — accomunati da una passione per l’ignoto e sopravvissuti a un incidente aereo. Da quel momento, decidono di affrontare insieme ogni genere di pericolo, da minacce aliene a fenomeni paranormali. Il tono? Esplorativo, fantascientifico, intriso di quella “meraviglia pulp” che Kirby conosceva così bene.
Il parallelo con i Fantastici Quattro non è solo concettuale. Prendiamo ad esempio Challengers of the Unknown #3, pubblicato nel settembre 1958. In questa storia, uno dei membri — Rocky, il cui nome già evoca trasformazioni “rocciose” — parte per una missione spaziale durante la quale viene esposto a misteriosi componenti chimici. Al ritorno sulla Terra, non solo ha perso la memoria, ma scopre di possedere nuovi poteri: lanciare fiamme, generare lampi o neve dalle mani, diventare gigante e addirittura invisibile. Quasi un compendio ante litteram di ciò che saranno La Cosa, la Torcia Umana, Mr. Fantastic e la Donna Invisibile.
E poi c'è June Robbins, la scienziata bionda che affianca regolarmente i Challengers. Brillante e determinata, è la figura che sembra anticipare Susan Storm, introducendo un elemento femminile nel gruppo e contribuendo attivamente alle avventure. Kirby aveva già scritto tutto, a modo suo. Lo aveva solo fatto per la casa editrice sbagliata.
Il confronto tra le due serie svela quanto le idee di Kirby siano state rifinite, più che reinventate, nel passaggio alla Marvel. Con Challengers of the Unknown, Kirby era autore completo: soggetto, sceneggiatura e disegni. Quando nel 1961 crea Fantastic Four insieme a Stan Lee, l’equilibrio cambia. Il famoso “Metodo Marvel” prevedeva infatti che Lee fornisse solo un breve soggetto, spesso a voce. Il disegnatore — nel caso specifico Kirby — sviluppava l’intero intreccio visivo, lasciando poi a Lee il compito di scrivere dialoghi e didascalie a disegni completati. Un processo che rende difficile, se non impossibile, attribuire in maniera netta la paternità delle storie.
Nel corso degli anni, il dibattito si è intensificato. Se un tempo Stan Lee veniva celebrato come il principale artefice della rinascita Marvel, oggi il pendolo si è spostato, e sono in molti a chiedersi quanta “farina del suo sacco” vi fosse realmente nella creazione di Spider-Man, Iron Man, Hulk, Thor e, naturalmente, i Fantastici Quattro. In particolare, la figura di Steve Ditko — co-creatore di Spider-Man — e quella di Kirby sono state rivalutate profondamente, alla luce della loro indipendenza creativa.
Non si tratta di revisionismo romantico. È un tentativo di ricollocare le fonti del mito moderno dei supereroi americani. Un mito che, se da un lato deve moltissimo alla capacità di Stan Lee di umanizzare i protagonisti, dall’altro affonda le sue radici nella potenza visiva e nella visione narrativa di Jack Kirby. La differenza tra Challengers e Fantastic Four sta nella densità dei personaggi, nel tratteggio psicologico e nei drammi interiori — elementi che Lee seppe inserire con straordinaria efficacia. Ma l’impalcatura, l’idea del team, la spinta all’esplorazione cosmica e la stessa natura dei poteri... tutto questo era già stato scritto.
E lo aveva fatto Jack Kirby. Senza colori sgargianti, senza costumi coordinati, ma con quella stessa furia creativa che lo avrebbe portato a cambiare per sempre il volto del fumetto mondiale.
La prossima volta che aprirete un albo dei Fantastici Quattro, chiedetevi: e se fosse cominciato tutto nel 1957?
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