Nel vasto e disturbante pantheon dei villain dell’universo DC Comics, il Joker occupa una posizione che sfugge a qualsiasi classificazione convenzionale. È un’anomalia vivente, un agente del caos, un nemico archetipico che esiste non tanto per distruggere Gotham, quanto per rovesciare l’ordine stesso su cui essa si fonda. Ma cosa accade quando qualcun altro – o più di uno – decide di indossare il suo ghigno, replicarne il maquillage e gettarsi in una spirale di crimini in suo nome? Qual è la reazione del Joker di fronte a chi cerca di imitarlo, perfino nel nome del rispetto?
Una risposta è contenuta nel caso grottesco e tragico di Curtis Base, una figura minore ma emblematica del tipo di reazione che l’originale Clown Principe del Crimine riserva ai suoi “fan” più devoti. Apparso in una delle tante storyline in cui Gotham sembra aver perso definitivamente il controllo, Base decide di approfittare di un momento d’assenza – o presunta morte – del Joker per rivendicare il ruolo di suo successore naturale. Maschera sul volto, pistola alla mano, Curtis si lancia in una serie di crimini degni dell’originale, con l’obiettivo non solo di “onorarlo”, ma di superarlo.
Quando il vero Joker riappare, però, la risposta è brutale, definitiva, e rivelatrice del suo codice etico (per quanto deformato): non esiste posto per l’imitazione in un’opera d’arte unica.
Il confronto tra i due è un balletto allucinato sul filo della follia, osservato da un Batman che, per una volta, resta testimone più che protagonista. I due Joker combattono – non solo per il dominio criminale, ma per l’identità stessa. Curtis Base muore, inghiottito dall’acido che, in passato, aveva “creato” il Joker originale. Un’ironia velenosa: laddove l’acido aveva trasformato un uomo comune in una leggenda del crimine, ora uccide un imitatore con la presunzione di essere all’altezza.
Questa storia mette a fuoco un tratto fondamentale della psicologia del Joker: l’ossessione per l’unicità. Nonostante il suo amore per il caos e l’anarchia, il Joker è un narcisista dell’assurdo. Non tollera repliche, né aspiranti eredi. La sua esistenza si fonda sulla convinzione di essere l’unico capace di scuotere Gotham, di sfidare Batman, di incarnare il male con una teatralità che rasenta il sublime. Qualsiasi tentativo di emulazione è, nella sua mente contorta, un atto di sacrilegio. Che sia nato da devozione o rivalità, poco importa: la punizione sarà sempre la stessa.
Questo comportamento si è ripetuto più volte nel tempo. In Batman: The Dark Knight Returns, di Frank Miller, un talk show televisivo ospita un gruppo di giovani criminali truccati come il Joker, i cosiddetti "Jokerz", che emulano il suo stile e la sua retorica. Anche in questo caso, il ritorno del vero Joker è accompagnato da una reazione di disgusto e violenza: non si divide il palcoscenico con nessuno, nemmeno con chi vorrebbe venerarlo come un dio.
Eppure, in una delle sue incarnazioni più complesse – nella serie Batman: Three Jokers – scopriamo che potrebbero essere esistiti più Joker contemporaneamente. È un’ipotesi sconcertante, esplorata con ambiguità, ma che offre uno spiraglio nella psiche del villain: forse, nel fondo della sua coscienza frammentata, il Joker stesso è consapevole di non essere una singola persona, ma un concetto. Un’entità che può mutare volto, ma mai essenza. Ed è proprio per questo che rifiuta ogni imitazione: non per insicurezza, ma per difesa del proprio mito.
Curtis Base, dunque, non è stato il primo a pagare il prezzo dell’idolatria sbagliata. E non sarà l’ultimo. Gotham è una città che sforna imitatori come fabbriche clandestine sfornano maschere, ma nessuno riesce mai a indossare davvero quella del Joker. Perché ciò che rende il Clown Principe del Crimine ciò che è – il suo genio disturbato, il suo senso dell’umorismo perverso, il suo disprezzo per ogni logica – non può essere insegnato, né trasmesso. È una maledizione personale.
Chi cerca di emularlo, finisce col bruciare in quello stesso acido
che l’ha creato.
E il Joker, inevitabilmente, ride per ultimo.
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