Nell’universo affollato e complesso della Marvel Comics, pochi antagonisti incarnano con tanta crudezza la pura malvagità come Bullseye. Spietato, sadico, imprevedibile: Bullseye non è solo un supercriminale, è un’arma umana affilata da follia e precisione. Se il Joker della DC Comics rappresenta il caos per il caos, Bullseye è la morte con lo sguardo fisso sull’obiettivo. E, come il suo nome suggerisce, non manca mai il colpo.
Il vero nome di Bullseye è Lester, ma anche questa informazione è soggetta a dubbi. Nulla è certo nella sua biografia, e la confusione non è casuale: Bullseye è un manipolatore nato, un bugiardo per sport, e la sua identità è stata più volte offuscata dalle sue stesse narrazioni contraddittorie. La Marvel ha scelto di non offrirgli una storia d’origine canonica e definitiva, un vuoto che non solo alimenta il mistero, ma sottolinea la natura proteiforme del personaggio: Bullseye è ciò che serve al male, in qualunque forma si presenti.
Nonostante l’oscurità del suo passato, è chiaro che Bullseye abbia intrapreso la via del crimine molto presto, diventando un sicario professionista con un talento straordinario: riesce a trasformare qualunque oggetto – da una matita a una graffetta – in un’arma mortale, grazie a una mira sovrumana e a riflessi ai limiti dell’umano. In breve tempo, è diventato il più ricercato mercenario degli Stati Uniti, finendo inevitabilmente nel radar dell’Uomo senza paura: Daredevil.
Il conflitto tra Daredevil e Bullseye non è solo una rivalità fumettistica, ma una delle più intense e cariche di tensione morale nell’intero panorama Marvel. Se Kingpin è il burattinaio dell’ombra, Bullseye è la lama che colpisce. E a differenza di molti altri villain, non ha un codice d’onore, né un trauma redentivo: Bullseye uccide perché lo trova stimolante, divertente, appagante.
Il loro scontro più tragico resta la morte di Elektra. In uno dei momenti più drammatici della saga di Daredevil, Bullseye trafigge l’assassina redenta con il suo stesso sai, lasciandola morire tra le braccia di Matt Murdock. Una scena che ha segnato un’epoca nei fumetti americani e che ha fissato Bullseye come l’incarnazione del lutto di Daredevil.
Durante l’arco narrativo Shadowland, Daredevil, posseduto da un antico spirito demoniaco, assume il controllo della Mano – l’organizzazione di ninja assassini – e si trasforma in un giustiziere spietato. In questo contesto, il confronto con Bullseye raggiunge un apice catartico e terribile. Quando il killer deride Murdock, provocandolo con l’arroganza di sempre, Daredevil risponde con ferocia: lo uccide nello stesso modo in cui Bullseye aveva assassinato Elektra. Un gesto di giustizia o vendetta? La linea si sfuma nel sangue.
È una delle poche volte in cui Bullseye conosce il terrore. E quella scena, per molti lettori, è una rivalsa emotiva difficile da dimenticare.
Ma nel mondo dei fumetti, la morte è spesso una porta girevole. Nel terzo volume di Daredevil, Lady Bullseye – un personaggio inquietante ispirato dallo stesso Lester – riesce a riportarlo in vita. Tuttavia, al suo ritorno, Bullseye si ritrova paralizzato, relegato a un ruolo marginale, un mostro imprigionato nel proprio corpo. La Mano, però, non tarda a restituirgli la mobilità, e con essa la possibilità di tornare a spargere morte.
Il nuovo Bullseye è ancora più inquietante. Se prima era solo malvagio, ora è rinato con una lucidità gelida, quasi disumana. La sua ricomparsa nel sesto volume di Daredevil, numero 35, segna un altro scontro brutale con Matt Murdock, che questa volta lo riduce in fin di vita. Ma sarà Elektra, ora portatrice del mantello di Daredevil, a fermare l’esecuzione: perché perfino un mostro merita un limite alla violenza.
Oggi Bullseye resta una figura chiave nel bestiario Marvel, un archetipo del male fine a se stesso. Non ha bisogno di un movente, non ha un piano di conquista, non cerca redenzione. La sua pericolosità sta nella semplicità del suo scopo: colpire, uccidere, e godere nel farlo.
Ma è proprio questa mancanza di morale, questo nichilismo da killer su commissione, a renderlo così disturbante. In un’epoca di anti-eroi complessi e villain tragici, Bullseye rimane una figura anomala, quasi archetipica: il male che non si può redimere, solo fermare. È una presenza che costringe gli eroi a interrogarsi sui limiti della giustizia, sulla vendetta e sul senso stesso della battaglia tra bene e male.
Bullseye non è un personaggio simpatico. Non è carismatico nel senso classico, né gode del fascino ambivalente di altri criminali Marvel. Ma proprio per questo affascina: perché è spaventoso. Perché è autentico. Perché rappresenta il lato oscuro senza maschere. Chi legge i suoi archi narrativi è messo di fronte a una realtà scomoda: non sempre il male ha una causa, non sempre si può spiegare. A volte, il male è semplicemente bravo a mirare.
E in questo, Lester – alias Bullseye – non ha mai mancato un colpo.
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