Artista, autore di fumetti e creatore
dei nostri eroi, Stan Lee ha scelto di raccontare la diversità e i
diritti civili come pochi altri hanno fatto.
Sono un uomo di colore che ama i
fumetti e, come si può immaginare, la notizia della morte di Stan
Lee mi ha inevitabilmente cambiato la giornata, portando con sé come
una nube oscura. Stan Lee non era solo il creatore di
Black Panther, X-Men
e Spider-Man,
era anche una persona che si è sempre opposta al razzismo,
all'ignoranza e al fanatismo.
Fin dal 1968, quando, in una edizione
di “Stan’s Soapbox”—una rubrica dei Marvel Comics attiva dal
1965 al 2001— Lee aveva dato una lezione importante ai lettori:
anche se non andrete d'accordo con tutti, questo non vi autorizza a
odiare tutte le persone appartenenti a una categoria, razza o
religione a prescindere, senza nemmeno conoscerle.
Io non ero nemmeno nato quando Lee
scriveva queste parole, ma c'ero quando suprematisti bianchi e
neonazi americani si sono riuniti a Charlottesville, e quando
lui ha riproposto queste parole a una nuova generazione. Lee ha
espresso quell'opinione senza aver niente in cambio; nulla allora, e
davvero pochissimo oggi.
Da creativo, Stan Lee si era fatto
strada con fatica in un'industria, quella del fumetto negli anni
Cinquanta, che lo rifiutava—e che stava quasi abbandonando a un
passo dal successo con Marvel. Era un uomo bianco con tutti i
privilegi del caso, ma usò quei privilegi in modo positivo, come
pochi altri hanno saputo fare, per portare avanti i suoi ideali
progressisti.
Negli ultimi vent'anni tutti noi siamo
cresciuti con lui, abbiamo atteso impazienti la breve comparsa dei
suoi baffoni bianchi sul grande schermo, ma forse non ci siamo mai
soffermati abbastanza sul suo lavoro.
Quando, tempo fa, scrivevo elogiando il
coraggio di una produzione cinematografica di
rappresentare un re nero e un intero cast di persone di
colore, non ho mai citato il fatto che Stan Lee fosse co-creatore
di Black Panther. Lee era un sostenitore convinto dei diritti civili,
anche se non amava vantarsene, e ha continuato a esserlo anche quando
dimostrare quel tipo di supporto si rivelava nocivo nei suoi
confronti. Ha aiutato a creare personaggi che rappresentassero
l'eroismo africano, ha incluso concetti progressisti all'interno dei
suoi lavori, sebbene il suo pubblico bianco non fosse minimamente
interessato a quel tipo di messaggi prima di scontrarvisi. X-men, tra
tutti, è una chiara allegoria (uomini che hanno paura dei mutanti)
dell'odio razziale e un chiaro segnale di sostegno al movimento
americano per i diritti civili. Un'allegoria che si è protratta poi
negli anni, e si è allargata fino a includere anche la comunità
LGBTQ.
Ora, non voglio dare lezioni di storia
a nessuno, vorrei solo rendere omaggio a un uomo che aveva capito,
prima di molti altri, cosa significa sostenere una causa senza mai
tirarsi indietro, attraverso la propria voce e la propria arte. Non
solo ha sempre sostenuto le cause in cui credeva, ma l'ha fatto senza
preoccuparsi di quello che avrebbe pensato di lui il pubblico con cui
si doveva rapportare—e che non percepì (e non percepisce tutt'ora)
le sue parole come necessarie o positive.
Nell'ultimo tweet in cui ripropone le
sue parole, scritte in un'epoca apparentemente lontana, Stan Lee
aveva scritto: "tanto vero oggi, quanto nel 1968." Grazie
Stan Lee, perché sei vero oggi come lo sei sempre stato.
Riposa in pace, e "Excelsior!"
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