domenica 25 maggio 2025

“Rosso, Grigio, Blu: La Multiforme Rabbia di Hulk e il Mito dell'Uomo Frammentato”

Nel vasto e iperbolico universo narrativo della Marvel, Hulk è ben più di un gigante verde che distrugge tutto ciò che incontra. È un prisma narrativo, capace di rifrangere la figura dell’uomo moderno in una miriade di incarnazioni: rabbioso, fragile, vendicativo, cosmico, talvolta persino tirannico. E tra queste forme, quella di Red Hulk – il cosiddetto Hulk Rosso – si è spesso trovata in secondo piano, oscurata dal peso mitico di Bruce Banner. Ma sarebbe un errore archiviarla come semplice variazione cromatica.

Apparso per la prima volta nel 2008 sulle pagine di Hulk vol. 2, Red Hulk è il risultato di un’operazione di decostruzione e reinvenzione. Dietro l’aspetto infuocato si nasconde il generale Thaddeus "Thunderbolt" Ross, storico antagonista di Banner, che diventa esso stesso ciò che ha sempre disprezzato. È un ribaltamento potente: l’uomo che inseguiva il mostro finisce per abbracciare il mostro dentro di sé. In termini narrativi, Red Hulk incarna l’ira sistemica, la rabbia istituzionalizzata – quella militare, pianificata, strategica – in contrasto con la furia primitiva e istintiva del classico Hulk. Il suo ruolo nei Thunderbolts e negli Avengers non è mai quello del salvatore, ma del deterrente: una bomba umana che si può dirigere… almeno fino a un certo punto.

Accanto a lui, si stagliano molteplici altre incarnazioni. C’è la She-Hulk Rossa, alias Betty Ross, figlia di Thaddeus e amante di Banner. Un simbolo di quanto le dinamiche familiari e affettive possano essere contaminate dalla guerra e dalla sperimentazione, in un dramma shakespeariano a base di radiazioni gamma. Poi c’è A-Bomb, la versione blu di Hulk nata da Rick Jones, figura leggera ma non meno significativa: rappresenta la trasformazione involontaria dell’eroe marginale in pedina di poteri più grandi di lui.

Ancora più rarefatte e inquietanti sono le forme come Joe Fixit, il grigio Hulk da casinò, astuto e ambiguo; World Breaker Hulk, distruttore di mondi e simbolo di un’ira cosmica portata all’estremo; o The Maestro, un Hulk del futuro, corrotto dal potere, spietato e onnipotente. Ogni incarnazione risponde a una domanda differente: cosa succede quando il dolore viene represso? Quando il potere diventa totalitario? Quando l’identità implode?

Persino versioni più oscure e poco note – come Kluh, generato dalla tristezza più profonda, o Super-Hulk, evoluzione surreale del personaggio in contesti narrativi estremi – non fanno che approfondire il tratto forse più importante di Hulk: la sua instabilità. Hulk non è un personaggio con un arco definito, ma una collezione di possibilità. Una metafora vivente delle sfaccettature dell’animo umano.

In questo contesto, Red Hulk si ritaglia un ruolo preciso: quello dell’antieroe consapevole, costruito sulla contraddizione. È Hulk senza la scusante della perdita di controllo. È violento per scelta, non per istinto. Questo lo rende meno empatico, certo, ma più affilato da un punto di vista tematico. Non è la rabbia che ci travolge, ma quella che scegliamo di coltivare.

Nel mondo sempre più stratificato della narrativa supereroistica, dove ogni personaggio viene duplicato, contaminato, ribaltato, Hulk resta uno dei più efficaci specchi delle nevrosi contemporanee. Il fatto che oggi esistano versioni verdi, rosse, blu, grigie e perfino future dello stesso individuo, non è un eccesso da universo a fumetti: è la dimostrazione che il vero “superpotere” di Hulk è essere una tela su cui proiettare tutto ciò che non vogliamo ammettere di noi stessi.

Forse Red Hulk non è il più importante. Ma è fondamentale per capire quanto siamo pronti a trasformarci, pur di vincere una guerra che – spesso – abbiamo iniziato da soli.



sabato 24 maggio 2025

Lupo Alberto: la rivoluzione contadina del fumetto italiano


Nel vasto panorama del fumetto europeo, spesso dominato da eroi mascherati e universi fantastici, c’è una figura atipica che, con un’ironia affilata e una surreale quotidianità, ha saputo conquistare il cuore di intere generazioni di lettori italiani: Lupo Alberto. Creato nel 1974 dal genio di Guido Silvestri – in arte Silver – questo lupo azzurro, più simile a un malinconico antieroe che a un predatore selvaggio, ha finito per diventare uno dei personaggi più longevi e amati del fumetto nazionale. Dietro l’apparente semplicità del tratto e delle gag, si nasconde però una satira agricola acuta e un ritratto sociale stratificato, che merita oggi una lettura più attenta e matura.

La prima apparizione ufficiale di Lupo Alberto risale al novembre del 1974, sulle pagine della rivista Corriere dei Ragazzi. Ma è a partire dal 1985, con la pubblicazione della testata omonima a cadenza mensile, che il personaggio conosce una vera e propria esplosione di popolarità. Ambientato in una fattoria chiamata McKenzie, il microcosmo narrativo di Lupo Alberto ruota attorno a una serie di animali antropomorfi, ciascuno portatore di tic, manie e ossessioni tipicamente umane.

La trama di fondo, in apparenza ridotta al minimo, è la seguente: Lupo Alberto tenta in ogni modo di eludere la sorveglianza del mastino Mose, guardiano della fattoria, per poter incontrare la sua fidanzata, la gallina Marta. Ma, in realtà, la struttura narrativa funziona come cornice per un’analisi sociale più profonda. Le dinamiche di gruppo degli animali della McKenzie offrono lo spunto per riflessioni su temi quali l’amore, l’alienazione, la gelosia, l’omologazione, l’ansia da prestazione e il conformismo.

Lupo Alberto non è mai stato un semplice personaggio comico. Sin dagli esordi, Silver lo ha costruito come un individuo riflessivo, spesso in preda a dubbi esistenziali e al senso di inadeguatezza. La sua figura si inserisce in quella tradizione italiana che va da Fantozzi a Mister Rossi, in cui il protagonista non vince mai, ma riesce comunque a mantenere la propria dignità, talvolta attraverso l’autoironia, talvolta attraverso la pura resistenza passiva.

La fattoria McKenzie non è altro che una rappresentazione in miniatura dell’Italia del boom economico e post-boom: una comunità chiusa, conservatrice, dominata da gerarchie implicite e da una diffidenza strutturale verso l’altro – l’estraneo, il diverso, l’irregolare. Il lupo – figura classicamente marginale e temuta nel folklore – qui viene umanizzato fino all’estremo, diventando il simbolo stesso dell’individuo che tenta di inserirsi in una società che lo rigetta.

Mose, il cane da guardia, incarna la forza bruta dell’ordine costituito. Marta, la gallina amata da Alberto, è l’emblema della dolcezza domestica e della fedeltà tradizionale. Gli altri animali – dal maiale Glicerina alla talpa Cesira, dal cavallo Krug alla pecora Alice – formano un coro greco grottesco, pieno di vizi e meschinità. Ma è proprio grazie a questa coralità ben costruita che le storie funzionano: ogni personaggio è lo specchio deformato di una tipologia umana riconoscibile.

Nel corso dei decenni, Lupo Alberto ha mantenuto una coerenza grafica e narrativa sorprendente, pur adattandosi ai mutamenti culturali. A partire dagli anni ’90, Silver ha cominciato a utilizzare il personaggio anche in contesti extra-fumettistici, affidandogli campagne di comunicazione su temi civili: prevenzione all’AIDS, lotta contro il fumo, rispetto per l’ambiente. È stato uno dei primi casi in Italia in cui un fumetto satirico ha saputo farsi veicolo di educazione pubblica senza tradire la propria identità artistica.

La maturazione del personaggio si riflette anche nei toni delle storie più recenti, dove il sarcasmo cede spesso il passo a una riflessione amara sul mondo contemporaneo. Lupo Alberto oggi è un adulto che osserva con disincanto una realtà che fatica a riconoscere, ma che continua a raccontare con tenacia e umanità.

Se si misura il valore di un personaggio fumettistico in base alla sua capacità di attraversare le generazioni, Lupo Alberto è senz’altro un caso emblematico. I bambini degli anni ’80 lo ricordano per le strisce divertenti e le serie animate trasmesse in televisione. Gli adulti di oggi lo rileggono con occhi diversi, scoprendo in quelle tavole un’ironia agrodolce, a volte persino crudele, che sfugge alla lettura infantile.

Oggi la figura di Lupo Alberto resiste, nonostante il mutato panorama editoriale, grazie a ristampe, raccolte tematiche e una presenza stabile nelle librerie. La sua longevità non è solo frutto di nostalgia, ma di una profondità narrativa che continua a parlare al lettore con onestà e acume.

In un mondo saturo di supereroi invincibili, Lupo Alberto rimane un simbolo di fragilità consapevole. Con il suo manto azzurro, il muso allungato e l’espressione tra il sarcastico e il rassegnato, rappresenta il cittadino comune, l’uomo medio che osserva il mondo con occhio critico, ma non rinuncia a sorridere. È la voce del dubbio in una società che pretende certezze, la risata liberatoria in un contesto fatto di norme e confini.

Non è solo un fumetto. È una finestra aperta sulla nostra umanità più vera, quella che si muove tra sogno e disillusione, tra slancio e caduta. E proprio per questo, forse, Lupo Alberto continuerà a vivere, finché ci sarà qualcuno che avrà bisogno di sorridere delle proprie fragilità senza sentirsi solo.




giovedì 22 maggio 2025

Etrigan: Demone nato all’Inferno, non angelo caduto

 

Nell’universo narrativo di DC Comics, Etrigan non è un angelo caduto ma un demone nato direttamente all’Inferno, con una storia oscura e complessa che affonda le radici in epoche lontane e in battaglie infernali.

La leggenda narra che migliaia di anni fa il potente demone Beliel, arciduca dell’Inferno, deciso a espandere il proprio dominio, si scontrò con la Regina Serpente Ran Va Daath in una guerra sanguinosa e devastante. Entrambi gli eserciti subirono perdite catastrofiche e soltanto i due comandanti sopravvissero. Nel loro duello finale, un momento inatteso cambiò le sorti della loro relazione: Beliel pronunciò con un’ironia sinistra una battuta d’approccio, capace di ammaliare persino una regina demone. Da quella scintilla nacque un legame, sfociato in una gravidanza.

Tuttavia, la convivenza si rivelò tormentata: Beliel si mostrò un amante egoista e insensibile, scatenando la furia di Ran Va Daath che tentò di consumare la loro unione in un gesto estremo, noto come “Tecnica della Mantide Religiosa”. Beliel, astuto e preparato, riuscì a sopravvivere e prese sotto la sua custodia la regina fino al parto. Dopo tredici mesi dalla loro prima alleanza, Ran Va Daath diede alla luce Etrigan, un demone nato dal caos, sadico e masochista, assetato di dolore e distruzione.

Persino Lucifero stesso consigliò a Beliel di controllare il figlio, ma la natura ribelle e autodistruttiva di Etrigan rendeva ogni disciplina vana. La soluzione drastica fu l’esilio della madre di Etrigan nel Masak Mavdil, un abisso infernale destinato a imprigionare i demoni pericolosi.

Questa genesi racconta un Etrigan lontano dalle sfumature angeliche o redentrici, un essere intrinsecamente legato all’oscurità e alla brutalità del mondo infernale, nato per incarnare il caos e la violenza dell’Inferno stesso.

La vera natura di Etrigan è quella di un demone originario delle profondità infernali, forgiato da conflitti antichi e passioni tumultuose, ben distante dall’archetipo dell’angelo caduto, e più vicino all’essenza più cruda e sanguinaria del mito infernale.


mercoledì 21 maggio 2025

Il Segreto della Ragnatela: Come Spider-Man Ha Creato il Suo Fluido e Perché Nessun Altro Potrebbe Usarlo

Nell’universo Marvel, poche invenzioni hanno lasciato un’impronta tanto iconica quanto il fluido e lo spara-ragnatele di Spider-Man. Non si tratta di gadget presi in prestito da un laboratorio militare o progettati da un conglomerato industriale. No: la ragnatela di Peter Parker è frutto del puro genio individuale. E come spesso accade nei miti contemporanei, dietro un dettaglio apparentemente tecnico si cela una narrazione profonda fatta di talento, solitudine e identità.

Peter Parker, nei fumetti principali dell’Universo Marvel (Terra-616), è ritratto sin da giovane come un autentico prodigio della scienza. Sebbene il suo nome sia oggi associato al sarcasmo e all’agilità da arrampicamuri, ciò che lo rende davvero unico è il suo intelletto. La Casa delle Idee, come viene spesso chiamata la Marvel, ha più volte indicato che Peter, da adolescente, possedeva un’intelligenza paragonabile a quella di Reed Richards (Mr. Fantastic), uno dei più grandi scienziati della finzione.

Quando Parker acquisisce i suoi poteri da ragno dopo il morso radioattivo, non si limita a scimmiottare l’animale che l’ha ispirato. Fa qualcosa di più. Sviluppa e costruisce da solo due strumenti straordinari: un fluido di ragnatela sintetica e un dispositivo da polso capace di lanciarlo con precisione millimetrica. Lo spara-ragnatele, piccolo, compatto, calibrato per adattarsi a ogni gesto istintivo del combattimento, è una meraviglia dell'ingegneria miniaturizzata.

Eppure, nella lunga storia del personaggio, la formula chimica del fluido non è mai stata completamente rivelata. Questo ha alimentato ipotesi tra fan e scienziati immaginari: potrebbe essere un composto organico a base di polimeri altamente elastici e reattivi all’aria, in grado di solidificarsi istantaneamente e reggere carichi multipli di tonnellate. La cosa straordinaria? Parker lo produce con materiali economici, compatibili con il bilancio disperato di un giovane fotografo freelance squattrinato. Una mente brillante che, al posto di costruire armi o fare soldi, ha scelto di proteggere la città con una fiala di genio al polso.

Viene naturale chiedersi: perché nessun altro ha replicato questa tecnologia?

La risposta è duplice e definitiva.

Primo: il genio non è replicabile. La Marvel è piena di personaggi brillanti — Tony Stark, Hank Pym, T’Challa — ma il fatto che Parker abbia concepito una formula esclusiva, mai condivisa né brevettata, rende il suo fluido una tecnologia quasi esoterica. Gli spara-ragnatele sono così integrati nel suo stile di combattimento da essere praticamente inseparabili dalla sua identità.

Secondo: la ragnatela non è per tutti. Servono riflessi sovrumani, coordinazione straordinaria e soprattutto forza. Senza i poteri di Spider-Man, usare la ragnatela sarebbe un suicidio. Lo dimostra un episodio emblematico che coinvolge Ben Reilly, il clone di Peter. Dopo aver perso temporaneamente i poteri, Ben tenta di oscillare tra i palazzi con la ragnatela. Risultato: si lussa una spalla, distrugge un’auto e sviene per l’impatto. Senza forza proporzionale a quella di un ragno, senza una pelle iperresistente e la capacità di reagire in tempo reale al rischio, il dondolarsi tra i grattacieli diventa un atto di incoscienza.

La ragnatela non è solo un’invenzione. È l’estensione di un corpo e una mente straordinari. È la firma di Spider-Man. E in un mondo dove anche i supereroi si affidano spesso a risorse esterne, Peter Parker rimane uno dei pochi che ha costruito da sé il proprio potere. Non è solo un eroe: è un ingegnere solitario con una coscienza, un giovane uomo che ha fuso la scienza e la responsabilità in un'arma non letale.

E mentre volano miliardi di dollari per costruire esoscheletri e armature, nessuno riesce a replicare ciò che un ragazzo in lutto, in una camera da letto del Queens, ha fatto con un po’ di ingegno, una perdita insopportabile e il peso di una frase incancellabile: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità.”



martedì 20 maggio 2025

Guerra dei Reami: se Wakanda, Themyscira, Atlantide e Asgard si affrontassero, chi emergerebbe vincitore?

In un'epoca in cui l'immaginazione collettiva plasma le mappe della mitologia pop, l'ipotesi di una guerra totale fra le quattro più leggendarie super-nazioni dei mondi Marvel e DC — Wakanda, Themyscira, Atlantide (versione DC) e Asgard — è un esercizio affascinante di comparazione tra civiltà avanzate, potere grezzo e superiorità strategica. Al di là del puro intrattenimento, la domanda fondamentale resta: chi vincerebbe davvero?

Per tentare una risposta seria e strutturata, esamineremo ogni nazione secondo tre parametri: tecnologia e armamento, potere militare e popolazione, campione nazionale e leadership, cercando di rimanere il più obiettivi possibile, tenendo conto di elementi canonici tratti da film, fumetti e serie ufficiali.

Quarto posto: Themyscira – la nobile ma obsoleta forza dell'onore

Themyscira, isola delle Amazzoni, rappresenta la quintessenza della tradizione marziale antica. Guerriere millenarie, addestrate in ogni forma di combattimento corpo a corpo e dotate di una disciplina ferrea. Eppure, nella guerra moderna — o mitologica — non basta. Le amazzoni sono dotate di armamenti arcaici: spade, lance, archi. Nonostante la loro straordinaria forza, hanno già mostrato vulnerabilità contro soldati armati della Prima Guerra Mondiale, lasciando presagire una netta inferiorità in uno scontro ad alta tecnologia.

La loro popolazione è limitata, e la biologia isolazionista le penalizza: l’immortalità non si traduce in rinforzi. L’unica vera speranza risiede nella loro campionessa, Diana di Themyscira, alias Wonder Woman, che rappresenta un'eccezione tra le sue pari. Ma anche lei, per quanto potente, può essere sopraffatta da un esercito ben equipaggiato e numeroso. In uno scenario di guerra totale, Themyscira cade per prima.

Terzo posto: Wakanda – una superpotenza tecnologica… umana

Wakanda, nazione dell’Africa centrale nascosta agli occhi del mondo, è la vera contraddizione incarnata: antica nel cuore, futuristica nella mente. Il vibranio — risorsa energetica e versatile — ha permesso uno sviluppo scientifico e tecnologico che surclassa persino le superpotenze terrestri. Campi di forza, armi a energia, veicoli silenziosi, tute intelligenti e sistemi di occultamento: Wakanda è una fortezza invulnerabile sul piano della scienza applicata.

Tuttavia, resta una nazione di esseri umani. E in un confronto diretto con Atlantidei o Asgardiani, questa umanità si rivela limite biologico e operativo. T’Challa o Shuri, per quanto intelligenti e strategici, non possiedono l’impatto fisico devastante dei campioni rivali. Wakanda ha gli strumenti per una resistenza lunga, persino per una guerriglia vincente, ma non può reggere contro la forza bruta di razze sovrumane.

Secondo posto: Atlantide – l’impero subacqueo della forza e della natura

L’Atlantide della DC Comics, guidata da Arthur Curry (Aquaman), è un regno nascosto nel profondo dell’oceano, dotato di tecnologie avanzate, eserciti formidabili e creature mostruose. La popolazione atlantidea è composta da individui dotati di forza, velocità e resistenza sovrumane. Persino le loro armi, come visto nel film Aquaman, sono capaci di ferire e uccidere altri Atlantidei — prova della loro potenza distruttiva.

A differenza delle Amazzoni o dei Wakandani, qui l’eccezionalità è collettiva. Le truppe regolari combattono ad armi pari con i campioni. Inoltre, Atlantide può sfruttare creature abissali — squali, kraken, granchi da guerra — per combattere in massa. Tuttavia, la loro efficacia si riduce drasticamente fuori dall’ambiente acquatico: in superficie, necessitano di elmi idrici, e molte unità perdono mobilità o impatto.

Aquaman, campione atlantideo, ha dimostrato di poter competere con Wonder Woman e superare Black Panther. Ma non è sufficiente per l’oro.

Primo posto: Asgard – i semidei conquistatori dell’universo

Asgard non è solo un regno: è un impero mitologico interstellare. Il popolo asgardiano è, nella sua totalità, sovrumano. Anche i contadini dimostrano forza erculea. I guerrieri — come visto in Thor: Ragnarok e Agents of S.H.I.E.L.D. — sono veterani di guerre cosmiche. Il loro addestramento è millenario, la loro esperienza bellica incomparabile. Nessun’altra nazione possiede un tale equilibrio tra forza bruta e sofisticazione magico-tecnologica.

Dispongono di astronavi, armi energetiche, campi di forza e artefatti unici: Mjolnir, Stormbreaker, lo Scrigno degli Antichi Inverni, la Fiamma Eterna. Ma il loro vero vantaggio è il Bifrost, tecnologia di teletrasporto istantaneo interplanetario. Questo solo fatto concede ad Asgard una superiorità tattica assoluta: possono spostare truppe, invadere e ritirarsi ovunque e in ogni momento.

Thor, nel pieno dei suoi poteri (Infinity War), è capace di decimare interi eserciti da solo. Heimdall può vedere e trasportare chiunque, Loki può infiltrarsi e sabotare. E, se consideriamo Odino, persino in pensione, e Hela, la dea della morte, l’equilibrio si spezza. Atlantide, per quanto brutale e resiliente, non può nulla contro un simile schieramento.



In questo ipotetico conflitto mitico-globale, la scala dei valori è chiara:

  1. Asgard – Dominatori assoluti, superiorità su ogni fronte.

  2. Atlantide – Potente, ma circoscritta dal suo ambiente.

  3. Wakanda – Geniale, ma limitata dalla condizione umana.

  4. Themyscira – Gloriosa, ma anacronistica.

Il campo di battaglia immaginario può essere variabile, ma la gerarchia del potere resta: quando i semidei calano dall’alto, anche il mare trema.

lunedì 19 maggio 2025

Potresti Camminare con uno Scheletro di Adamantio? Solo se Fossi Wolverine (e anche lui ci ha rimesso la pelle)

Nel mondo della biotecnologia immaginaria dei fumetti, lo scheletro di adamantio di Wolverine è un’icona tanto affascinante quanto letalmente impraticabile nella realtà. Ma cosa accadrebbe se un essere umano comune tentasse di emulare il mutante artigliato degli X-Men, impiantandosi un esoscheletro di metallo indistruttibile?

La risposta breve è: cammineresti? Forse. Sopravviveresti? Molto difficile.

Secondo la lore Marvel, l’adamantio che ricopre lo scheletro di Wolverine pesa all’incirca 45 kg. Supponiamo che un uomo medio pesi 90 kg: il nuovo peso corporeo supererebbe i 135 kg, senza contare altri impianti o armamenti. Questo aumento di massa non è distribuito come nel bodybuilding: è una zavorra interna, vincolata alle ossa, che grava su ogni singolo movimento.

Camminare? Sì, in teoria. Ma con un tale peso interno, anche alzarsi dalla sedia diventerebbe un’impresa. Le articolazioni sarebbero sottoposte a uno stress cronico, e i muscoli, incapaci di adattarsi in tempo reale, si strapperanno. Un normale essere umano non reggerebbe più di qualche ora prima di crollare per collasso muscolare o insufficienza cardiovascolare.

Ciò che rende tutto questo possibile nel caso di Wolverine non è la tecnologia, ma la biologia mutante. Il suo celebre fattore rigenerante non solo guarisce ferite e rigenera tessuti, ma adatta i suoi muscoli e tendini per sopportare il peso dell’adamantio. I suoi muscoli si lacerano sotto sforzo, ma guariscono in tempo reale, rafforzandosi ogni volta. Questo porta Wolverine a sviluppare una forza e resistenza oltre i limiti umani, pur mantenendo l'agilità necessaria al combattimento ravvicinato.

Inoltre, questo fattore guaritivo neutralizza gli effetti tossici del metallo. E qui entra in gioco un dettaglio spesso trascurato...

L’adamantio, almeno nella sua forma più “pura” (quella originale), è biologicamente incompatibile con l'organismo umano. Per anni, nei fumetti, è stato insinuato che Wolverine vivesse in costante stato di avvelenamento, il suo corpo impegnato a rigenerare cellule danneggiate dal metallo stesso.

Questa teoria è stata confermata e ampliata dopo lo scontro con Magneto, quando quest’ultimo lo privò dello scheletro metallico. Il fattore rigenerante di Logan andò in overdrive, lasciando intendere che fosse stato sotto costante assalto interno.

Tuttavia, in epoche successive, a Wolverine fu reimpiantato un nuovo tipo di adamantio: il cosiddetto adamantio beta, che si fonde biocompatibilmente con l’organismo, lasciando “respirare” le ossa, senza interferire con i processi vitali.

Anche con questo adattamento genetico e molecolare, Wolverine non è immortale. In una delle sue saghe più toccanti, La Morte di Wolverine (2014), Logan perde il suo fattore rigenerante. Impossibilitato a guarire, il suo stesso scheletro lo uccide. Alla fine, muore ricoperto dal metallo fuso, in un gesto tragico di auto-sacrificio, simbolo del paradosso del suo potere: la sua arma è anche la sua condanna.

Se ti stai chiedendo se potresti mai sopportare uno scheletro di adamantio come Wolverine, la risposta è un sonoro no. Senza un fattore rigenerante mutante:

  • i muscoli crollerebbero sotto il peso;

  • le ossa si frantumerebbero o si slogherebbero;

  • l’adamantio ti avvelenerebbe lentamente (o rapidamente);

  • e l’unica cosa indistruttibile sarebbe la tua agonia.

Wolverine non è solo un soldato dotato di artigli. È un miracolo biologico mutante, una creatura che vive al confine tra l’invulnerabilità e l’autodistruzione. E come ogni miracolo Marvel… alla fine ha avuto il suo prezzo.

Riposa in pace, Logan.
Ma non aspettarti che qualcuno raccolga il tuo mantello: pesa troppo.



domenica 18 maggio 2025

Marvel's Taskmaster: Un Maestro dell’Imitazione senza Limiti Apparenti

Nel vasto universo Marvel, pochi personaggi incarnano la pericolosità dell’osservazione tanto quanto Taskmaster. Il suo nome è sinonimo di precisione mimetica, ma c’è spesso confusione sul reale funzionamento dei suoi poteri. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Taskmaster non duplica le abilità degli altri nel senso tradizionale del termine. Piuttosto, le osserva, le assimila e le replica con una precisione disarmante, grazie a ciò che viene definito “riflessi fotografici”.

Taskmaster è dotato di una capacità neurologica rarissima che gli permette di replicare qualsiasi movimento fisico dopo averlo visto anche una sola volta. Questo include:

  • Tecniche di combattimento corpo a corpo (dallo stile fluido di Spider-Man ai colpi brutali del Soldato d’Inverno);

  • Arti marziali multiple, apprese non tramite addestramento ma mediante osservazione;

  • Capacità atletiche e acrobatiche complesse, che replica con l’efficacia di un professionista;

  • Abilità motorie fini come suonare strumenti musicali, copiare calligrafie o dipinti;

  • Tiri di precisione osservando esperti come Hawkeye o Bullseye;

  • Addirittura imitazioni vocali, perfette al punto da ingannare sistemi di riconoscimento vocale.

Sebbene non ci sia un limite rigido al numero di abilità che Taskmaster può "immagazzinare", i fumetti rivelano che esistono conseguenze neurologiche al suo potere. Gli effetti del siero nazista derivato dal Super Soldato gli conferiscono capacità di apprendimento rapidissimo e una memoria a breve termine potenziata. Tuttavia, questo stesso siero ha un prezzo: danneggia progressivamente la sua memoria a lungo termine.

In altre parole, Taskmaster può assimilare tecniche con incredibile facilità, ma col tempo dimentica parti della sua identità e persino esperienze personali significative per far spazio a nuove abilità acquisite. Questo non rappresenta tanto un limite alla quantità di tecniche che può apprendere, ma un costo cognitivo che mina la sua stabilità mentale e individuale.

È cruciale chiarire: Taskmaster non "prende" le abilità degli altri, come farebbe Rogue assorbendo poteri o Mystica trasformandosi. Lui imita, e lo fa con una tale maestria da potersi confrontare con i migliori combattenti della Terra senza aver mai ricevuto un addestramento formale.

Ma questa abilità ha anche dei limiti pratici. Ad esempio:

  • Non può copiare poteri sovrumani, come i raggi ottici di Ciclope o il volo di Thor. Può solo riprodurre ciò che un corpo umano allenato potrebbe eseguire.

  • Non può replicare abilità che dipendono da un’esperienza sensoriale soggettiva, come la sensibilità al ragno di Spider-Man.

  • È vulnerabile a stili di combattimento imprevedibili o folli, come quelli di Deadpool, che non seguono logiche ripetitive o coerenti.

Taskmaster è un simbolo inquietante del potere dell’imitazione portato all’estremo. È in grado di replicare centinaia di tecniche e stili, ma il prezzo che paga è altissimo: la graduale erosione della sua umanità e memoria personale. Sebbene non ci sia un tetto teorico al numero di abilità che può ricordare, c'è un ciclo continuo di apprendimento e oblio che lo condanna a vivere nel presente tattico, incapace di ancorarsi a un’identità stabile.

Per chi lo affronta, è come combattere con l’essenza di Captain America, Daredevil, Iron Fist e Black Widow… tutti allo stesso tempo. Ma per Taskmaster stesso, è come guardarsi allo specchio e non sapere più chi si è.

Una memoria perfetta… che cancella ciò che conta davvero.