domenica 29 giugno 2025

"L’anello della Lanterna: un potere alla portata di tutti o una trappola per i non eletti?"

Nell’universo ricco e complesso dei fumetti DC, gli anelli delle Lanterne rappresentano strumenti di potere immenso, ciascuno legato a un’emozione o a una forza universale. Ma cosa succede se qualcuno si imbatte casualmente in uno di questi anelli? Può semplicemente indossarlo e usarlo, anche senza conoscerne il funzionamento o senza essere stato scelto? La risposta, come spesso accade nelle storie di supereroi, è tanto affascinante quanto pericolosa: gli anelli sono sì accessibili, ma solo a determinate condizioni e con rischi spesso mortali.

Gli anelli delle Lanterne non sono oggetti passivi: tendono a selezionare chi può effettivamente maneggiarli, rispondendo all’emozione o al tratto che rappresentano. Prendere un anello a caso non equivale a ottenere automaticamente un potere sovrumano. Il risultato varia drasticamente a seconda del colore e del tipo di anello.

L’anello rosso, simbolo della rabbia, può suscitare un’esplosione di furia anche in chi non ne è dotato naturalmente, ma senza controllo rischia di sopraffare l’utilizzatore, causando una distruzione incontrollata.

L’anello arancione, invece, incarna l’avidità: indossarlo può risvegliare un desiderio insaziabile, o nel peggiore dei casi assorbire completamente la mente e il corpo di chi lo porta, trasformandolo in una semplice struttura arancione priva di volontà.

L’anello giallo, legato alla paura, richiede a chi lo indossa di saper incutere terrore per poter funzionare; altrimenti resterà inattivo o addirittura si allontanerà.

L’anello verde, il più iconico, richiede una forza di volontà eccezionale e un’autentica dedizione: solo chi è in grado di dominarlo potrà usarlo senza esaurirsi.

Diversi sono i casi degli anelli blu (speranza), indaco (compassione), e viola (amore), tutti con condizioni molto specifiche per attivarsi, spesso legate a una profonda connessione emotiva o spirituale. Indossarli senza preparazione o sentimento genuino può portare a esperienze travolgenti o addirittura pericolose.

Gli anelli neri, simbolo della morte, sono senza dubbio i più letali: indossarli equivale a consegnare la propria mente a Nekron, una forza oscura che trasforma l’individuo in un emissario della morte stessa. Gli anelli bianchi, al contrario, rappresentano la vita e raramente si manifestano senza uno scopo ben definito; rifiutare la loro chiamata significa ignorare una responsabilità enorme.

Tra gli anelli meno noti, il Primo Anello sembra il più “accessibile”, ma il potere che conferisce rischia di sopraffare chiunque senza un controllo adeguato. Gli Anelli Fantasma, invece, sono una trappola che sottrae forza vitale ed emotiva, mentre l’Anello del Potere – utilizzato dal Sinistro Sindacato del Crimine – somiglia al verde ma senza i vincoli morali e con un carattere più vile.

Insomma, trovare un anello della Lanterna non è una fortuna garantita: è piuttosto un bivio tra potere e rovina. Solo chi possiede il giusto equilibrio emotivo e la forza interiore può trasformare quell’oggetto in una vera fonte di potere. Per tutti gli altri, l’anello rischia di essere una condanna o un’illusione pericolosa.

In un universo dove ogni colore racconta un’emozione, solo il portatore giusto può dare vita all’anello, trasformandolo da semplice oggetto a strumento di leggende.



Perché Hulk non è stato nominato Dio della Forza?

Nel pantheon narrativo della Marvel, dominato da dei, mutanti, cosmici e creature transdimensionali, la forza pura è una delle qualità più celebrate — e contese. Nessun personaggio incarna questa potenza bruta meglio di Hulk, la cui forza cresce proporzionalmente alla rabbia. Eppure, nonostante decenni di imprese sovrumane e battaglie mitiche, Hulk non ha mai ricevuto il titolo di "Dio della Forza". Il motivo non è solo narrativo, ma anche mitologico, concettuale e strutturale.

La risposta breve?
A. Hulk non è un dio. B. Il titolo è già stato assegnato a Magni, figlio di Thor.

Ma la risposta completa è ben più interessante, e svela i meccanismi creativi dietro le quinte della Marvel, il ruolo dei miti norreni e le implicazioni filosofiche della forza nell’universo fumettistico.

Bruce Banner/Hulk rappresenta un archetipo ben preciso: l’uomo ordinario trasformato in forza distruttiva tramite la scienza. La sua forza non proviene da una divinità o da un diritto ereditario, bensì da un incidente scientifico e da una condizione emotiva. Hulk non è "forte" in senso assoluto: è forte quanto è arrabbiato. La sua forza, quindi, non è una costante, ma una curva esponenziale emotiva.

Inoltre, Hulk è una manifestazione tragica: un uomo in conflitto con il suo lato mostruoso, che spesso cerca la solitudine per non distruggere chi ama. Questa ambivalenza lo rende inadatto a rappresentare una divinità, che nel contesto mitologico Marvel implica stabilità, potere cosmico, e spesso un ruolo sociale o simbolico.

Magni, figlio di Thor e Amora (l’Incantatrice), proviene da un futuro alternativo. Appare per la prima volta nei fumetti Marvel come erede del potere di Asgard, e viene descritto come il Dio della Forza. Si tratta di un riferimento diretto alla mitologia norrena: Magni è uno dei due figli di Thor (insieme a Modi) destinato a sopravvivere a Ragnarök e ricostruire il mondo.

La particolarità di Magni nella Marvel è che, a differenza del padre, non ha bisogno di essere "degno" per sollevare Mjolnir. Può farlo semplicemente per forza bruta. Questo dettaglio è stato introdotto per enfatizzare una distinzione importante: la forza come attributo divino, e non solo come espressione fisica.

In Immortal Thor #18, Magni è ritratto mentre solleva Mjolnir nonostante non vi sia menzione della “degnezza”. Questo implica che la sua forza non solo è incalcolabile, ma mitologicamente assoluta: egli incarna la forza come concetto, non come emozione o potenza esplosiva.

Hulk vs Magni: Confronto concettuale

Aspetto

Hulk

Magni

Origine della forza

Rabbia, mutazione gamma

Natura divina, lignaggio asgardiano

Tipo di forza

Variabile, esplosiva

Infinita, controllata

Relazione con Mjolnir

Incapace di sollevarlo

Lo solleva con la sola forza

Stato divino

Mortale mutato

Dio asgardiano

Filosofia

Forza come maledizione

Forza come eredità

Simbolismo narrativo

Mostro tragico

Erede della forza primordiale

Perché Hulk non può essere il Dio della Forza

  1. Non è un dio, né mitologicamente né narrativamente.
    La Marvel distingue nettamente tra esseri cosmici, divini e terrestri. Hulk, per quanto potente, resta ancorato a una radice umana e scientifica.

  2. Il suo potere è instabile.
    La forza di Hulk cresce con la rabbia, ma proprio per questo è imprevedibile. I dei nella mitologia Marvel rappresentano archetipi stabili: Thor è la tempesta, Odino la saggezza, Magni la forza. Hulk, invece, è il caos.

  3. Il suo ruolo narrativo è diverso.
    Hulk è spesso una minaccia tanto quanto un eroe. I suoi momenti più potenti sono anche quelli in cui perde il controllo (World War Hulk, Planet Hulk). La divinità implica dominio, padronanza di sé. Hulk, per definizione, non è padrone della propria forza.

  4. Esiste già un Dio della Forza.
    L’introduzione di Magni ha lo scopo specifico di occupare questo ruolo. Dare a Hulk lo stesso titolo avrebbe reso ridondante e incoerente il sistema mitologico interno all’universo Marvel.

Uno degli argomenti più citati da chi sostiene la superiorità di Hulk è il suo tentativo fallito di sollevare Mjolnir. Il martello di Thor è vincolato da un incantesimo: solo chi è degno può impugnarlo. Hulk, nonostante la forza, non è mai riuscito a farlo.

Magni, invece, lo solleva per forza. Questo fatto sembra contraddire la “regola della degnezza”, ma in realtà rappresenta un’evoluzione: Magni è la Forza. Non ha bisogno di meritare Mjolnir, lo domina. È un simbolo che perfino la magia deve piegarsi alla divinità pura della forza.

Hulk è l’essere più forte dell’universo Marvel? Forse. Ma la forza non basta per diventare un dio.

Divinità, nella logica mitica della Marvel, significa incarnare un principio eterno e costante. Magni è quel principio. È la Forza come valore assoluto. Hulk, al contrario, rappresenta il lato oscuro e incontrollabile della potenza, la conseguenza emotiva della disperazione.

Il Dio della Forza non può essere un'arma impazzita. Deve essere un faro, una certezza, un'eredità cosmica.

E Hulk, per quanto formidabile, non è nulla di tutto questo.



sabato 28 giugno 2025

Mefisto, Dormammu e Trigon: Gerarchia del Male tra Marvel e DC

Nel vasto panorama delle entità ultraterrene dei fumetti, pochi nomi evocano il terrore e il disordine cosmico come Mefisto, Dormammu e Trigon. Sebbene condividano una radice demoniaca e una potenza apparentemente illimitata, questi tre personaggi occupano ruoli e livelli di minaccia molto differenti all’interno delle rispettive continuity, Marvel e DC. Ma dove si colloca davvero Mefisto? È davvero alla pari con Dormammu e Trigon, o il suo status è spesso sopravvalutato?

L'obiettivo di questo articolo è chiarire, senza eccessi sensazionalistici, la gerarchia di potere che lega queste tre entità, esaminandone origini, abilità, limiti e posizionamento narrativo.

Mefisto non è Satana, benché la sua immagine e le sue azioni siano chiaramente ispirate alla figura archetipica del diavolo cristiano. Il suo regno infernale è una dimensione separata dalla nostra, da cui trae potere grazie alla sofferenza, alla dannazione e soprattutto al concetto di patto. La sua firma è il contratto: Mefisto non conquista con la forza, ma con l’inganno.

I suoi poteri includono:

  • Manipolazione della realtà (limitata fuori dal suo reame)

  • Immortalità

  • Capacità di alterare le memorie e le linee temporali (come visto in One More Day)

  • Controllo e raccolta delle anime

  • Trasformazione, illusione, evocazione

Nel suo dominio, Mefisto può sfidare anche esseri potentissimi come Thor o il Dottor Strange. Tuttavia, il suo potere cala sensibilmente nel mondo materiale, dove spesso deve agire per procura, sfruttando avatar, emissari o illusioni.

Dormammu, invece, è una creatura di tutt’altra pasta. Nato come membro della razza Faltine, esseri di pura energia magica, ha abbandonato il suo popolo per assumere il controllo della Dimensione Oscura, un piano di realtà interamente sottomesso al suo volere.

I suoi poteri comprendono:

  • Controllo assoluto della magia

  • Manipolazione di materia, energia e tempo

  • Capacità di assorbire intere dimensioni

  • Combattimento su scala cosmica

  • Sottomissione di altri regni infernali

Dormammu non fa patti: conquista. Non corrompe: schiaccia. Ha affrontato Eternità, l’entità cosmica che rappresenta l’intero universo Marvel, e si è scontrato con Celestiali e divinità antiche. La sua sete di potere è illimitata, e il suo unico vero limite è la barriera tra le dimensioni, che spesso gli impedisce di invadere direttamente la nostra realtà senza scontrarsi con i difensori mistici come Doctor Strange.

Spostandoci nell’universo DC, troviamo Trigon, un essere di male assoluto, nato dall’unione di forze demoniache e umane in una dimensione di dolore eterno. È il padre della supereroina Raven, che ne eredita parte del potere e, talvolta, ne limita l’influenza.

Le sue capacità includono:

  • Forza fisica oltre ogni misura (può affrontare Superman e Shazam simultaneamente)

  • Manipolazione della realtà su scala planetaria

  • Immortalità e rigenerazione

  • Controllo mentale

  • Creazione di demoni e eserciti infernali

  • Conquista dimensionale (ha assoggettato interi mondi alternativi)

Trigon non è solo un demone. È una forza cosmica distruttiva, un’entità che, in diverse linee temporali, ha cancellato l’intera esistenza o la ha piegata al suo volere. Nei momenti di massima espressione, solo entità come lo Spettro, The Presence o i Signori dell’Ordine e del Caos riescono a contenerlo.

Il confronto diretto è inevitabile, ma occorre tenere presente la natura diversa di ciascun personaggio. Mefisto non è costruito per essere un conquistatore cosmico, quanto un corruttore metafisico. La sua arma non è la forza bruta, ma l’astuzia, l’inganno, l’ambiguità morale.

Ecco una comparazione sintetica:

Personaggio

Universo

Natura

Dominio

Stile di minaccia

Poteri principali

Vulnerabilità

Mefisto

Marvel

Entità extradimensionale

Inferno personale

Inganno e corruzione

Realtà mistica, controllo anime

Potere limitato fuori dal regno

Dormammu

Marvel

Faltine (essere di energia)

Dimensione Oscura

Conquista mistica

Magia illimitata, dominio dimensionale

Difese magiche (Strange, barriera dimensionale)

Trigon

DC

Demone cosmico

Multiverso infernale

Distruzione e soggiogazione

Manipolazione realtà, forza cosmica

Legame con Raven, vulnerabile a magia divina


Mefisto viene spesso sottovalutato in termini di “numeri”, ma sopravvalutato in quanto a percezione. Questo perché agisce con strumenti diversi: mentre Trigon distrugge un mondo in pochi secondi e Dormammu assorbe galassie, Mefisto ti fa firmare un contratto per l’anima di tua figlia. Ed è proprio qui che risiede il suo potere: non nella distruzione, ma nella dannazione.

I lettori che lo conoscono superficialmente tendono a vederlo come un nemico ricorrente per Spider-Man o Ghost Rider, ma nei momenti più importanti (come in Heroes Reborn o Infinity War), Mefisto mostra una capacità di manipolazione che ha spinto anche entità cosmiche a dubitare della realtà.

Mefisto non è debole, ma è diverso. Dormammu e Trigon sono forze esplicitamente distruttive, progettate per sfidare l’equilibrio cosmico in modo diretto. Mefisto, invece, rappresenta il lato oscuro della scelta, della tentazione, del libero arbitrio usato contro se stessi.

Se il tuo nemico è Trigon, preparati alla fine del mondo.
Se è Dormammu, attendi la corruzione della realtà.
Ma se a bussare alla porta è Mefisto… forse l’inferno è già dentro di te.



venerdì 27 giugno 2025

Il paradosso di Rogue: perché la mutante che può assorbire tutti i poteri non è la più potente

Nel vasto e complesso universo degli X-Men, tra entità cosmiche e mutanti di livello Omega, pochi personaggi incarnano la contraddizione tra potere e vulnerabilità quanto Rogue. Il suo potere è, sulla carta, tra i più versatili e potenzialmente devastanti mai concepiti: con un solo tocco, può assorbire i ricordi, la forza vitale, le abilità e i poteri di qualsiasi essere umano o mutante. Ha replicato i poteri di giganti come Thor, Wolverine, Captain Marvel (Ms. Marvel all’epoca), e persino Juggernaut. Eppure, nella gerarchia di potere dell’universo Marvel, Rogue non è mai stata considerata la più potente tra i mutanti.

Questa apparente incongruenza solleva una domanda legittima: se Rogue può diventare chiunque, perché non è considerata invincibile?

Per comprendere il limite del potere di Rogue bisogna partire dalla sua natura: il contatto fisico come veicolo di assorbimento. Il suo tocco è invasivo, privo di controllo, e potenzialmente letale. Quando Rogue entra in contatto con qualcuno, non può scegliere quanto o cosa assorbire. L’effetto è immediato, spesso traumatico sia per lei che per la vittima, e può durare da pochi minuti a diverse settimane. In casi eccezionali, come con Carol Danvers (Ms. Marvel), l'assorbimento è stato permanente.

Questo potere ha implicazioni devastanti anche sul piano personale: Rogue non può toccare nessuno senza rischiare di fargli del male. Il desiderio di intimità, amore e normalità diventa un sogno irraggiungibile. La sua forza, insomma, è anche la sua prigione.

Un altro aspetto spesso sottovalutato è che Rogue non eredita solo i poteri, ma anche frammenti di personalità, pensieri e ricordi di chi tocca. Questo rende il suo potere altamente instabile. Più potente è il soggetto assorbito, più complicato diventa per Rogue mantenere la propria identità e lucidità mentale. Assorbire la mente di Charles Xavier o di un telepate come Emma Frost potrebbe portare a una crisi dissociativa, più che a un vantaggio strategico.

Inoltre, i poteri assorbiti non vengono automaticamente compresi o dominati. Rogue può replicare le capacità fisiche, ma l’esperienza e il controllo restano legati all’originale. È una cosa usare i poteri di Nightcrawler per teletrasportarsi, è un’altra saperli usare efficacemente in battaglia, improvvisando senza addestramento.

Rogue non possiede un’energia propria infinita, ma è sempre legata alla presenza di altri individui potenti attorno a sé. Il suo potere è straordinario solo se ha qualcuno da cui attingere. In una situazione isolata, contro avversari ignoti o non mutanti, perde buona parte della sua efficacia.

Questa dipendenza rende Rogue una mutante forte, ma non autonoma nel lungo periodo. Mutanti come Jean Grey (soprattutto con la Forza Fenice), Magneto o Storm possiedono capacità devastanti e persistenti, senza doverle "prendere in prestito". Possono svilupparle, affinarle e usarle con pieno controllo. Rogue invece è una mutante reattiva, non proattiva.

In Marvel Comics esiste una classificazione informale, ma significativa, chiamata "Omega Level Mutant". Questo termine si riferisce a mutanti il cui potere non ha limiti superiori prevedibili. Franklin Richards, Iceman, Legion e Jean Grey sono tra questi. Rogue non rientra in questa categoria, proprio perché il suo potere è limitato dal corpo altrui, e non può evolvere in forma autonoma verso nuove espressioni. È potente, sì, ma entro margini delimitati.

Ma oltre alle spiegazioni tecniche, c’è una ragione più profonda e narrativa: Rogue è scritta per essere tragica. La sua figura rappresenta la tensione tra potere e isolamento, tra desiderio e impossibilità. Il suo arco narrativo non è quello del dominio assoluto, ma della lotta per la normalità. Ogni volta che ha assorbito troppa energia, ha pagato un prezzo alto: psichico, relazionale, identitario.

Il potere assoluto le è passato tra le dita più volte, ma ogni volta l’ha lasciata più vuota, non più forte. Questo aspetto ha reso Rogue un simbolo del dramma mutante, molto più di una semplice supereroina. È una figura complessa, tormentata, spesso ai margini, ma per questo umanamente più vicina ai lettori.

Rogue non è la mutante più potente perché non vuole esserlo a tutti i costi, e perché il suo potere è pericoloso per chi ama, prima ancora che per i nemici. È una guerriera quando serve, ma sempre con un piede nella colpa e nell’umanità. E in un universo dominato da entità che distruggono pianeti o alterano la realtà, la sua vera forza sta nel restare se stessa, nonostante tutto ciò che ha dentro.

Nel paradosso di Rogue si nasconde una grande verità narrativa: a volte il potere più grande è sapere rinunciare a usarlo.



giovedì 26 giugno 2025

Batman e Barbatos: L’Eroe Oscuro è Ancora Libero in “Dark Nights: Metal”?

Da sempre simbolo di forza di volontà e intelligenza umana, Batman ha incarnato per decenni l’ideale del supereroe senza superpoteri: un uomo solo contro un mondo caotico, armato solo della sua disciplina, del suo ingegno e di un’inflessibile bussola morale. Ma con Dark Nights: Metal, la monumentale saga DC firmata da Scott Snyder e Greg Capullo, qualcosa cambia: la figura di Bruce Wayne viene trascinata in un vortice mitologico e cosmico dove il libero arbitrio sembra cedere il passo a un disegno oscuro e predeterminato.

Il responsabile di questa riscrittura è Barbatos, entità ultradimensionale e dio oscuro del Multiverso, che si rivela non solo nemico, ma parte integrante dell’evoluzione stessa di Batman. Una domanda inquietante si fa largo tra i lettori più attenti: l’eroismo di Batman è ancora frutto delle sue scelte, oppure è stato solo lo strumento inconsapevole di una forza superiore fin dall’inizio?

In Metal, Barbatos non è una semplice minaccia esterna. Viene presentato come un essere antico, che da tempo immemore osserva Bruce Wayne, ne studia le paure, le ombre interiori, e ne manipola persino il percorso esistenziale. Il suo intento è chiaro: aprire un varco dal Multiverso Oscuro attraverso Batman stesso, trasformandolo nel catalizzatore dell’apocalisse. Secondo la mitologia costruita da Snyder, ogni impresa di Batman — perfino il suo viaggio nel tempo in The Return of Bruce Wayne o l’esposizione ai metalli misteriosi — sarebbe servita inconsapevolmente a “prepararlo” a questo scopo.

Non è più il detective, il crociato solitario. È il portale.

A rafforzare la sensazione di predestinazione, Dark Nights: Metal introduce i cosiddetti Dark Knights, sette versioni distorte di Batman provenienti da altrettanti mondi oscuri del Multiverso. Ogni figura rappresenta una deviazione morale di Bruce, una caduta nell’abisso nata dal desiderio di controllo, protezione o vendetta. Il Batman che diventa Joker (The Batman Who Laughs), quello che si fonde con Doomsday, quello che assume i poteri di Flash o di Cyborg: tutte versioni che mostrano come l’essenza di Bruce Wayne possa, in altri contesti, dar vita a mostri.

Ma queste creature non esistono per negare l’eroismo di Batman. Piuttosto, lo enfatizzano per contrasto. Il “nostro” Batman — quello dell’universo principale — è colui che non cede, che continua a scegliere la via più difficile, anche di fronte al destino.

La tensione narrativa della saga si gioca proprio su questo crinale: quanto di ciò che è Batman è davvero frutto della sua volontà? Se Barbatos lo ha scelto fin dall’inizio, se le sue prove sono state predisposte, se ogni passo lo ha avvicinato all’oscurità, allora Batman è ancora l’uomo che ha giurato sulla tomba dei genitori di cambiare il mondo? Oppure è una pedina, uno strumento, un esperimento divino?

La risposta, pur nella complessità del racconto, sembra essere affermativa: sì, Batman è ancora libero. Lo è proprio perché, alla fine, resiste. Resiste all’influenza di Barbatos, respinge le versioni di sé corrotte, accetta il sacrificio personale pur di difendere gli altri. La sua determinazione a restare umano, a non cedere alla disperazione, è l’antitesi vivente del progetto di Barbatos. Dove altri Batman cadono, il vero Bruce Wayne si erge. Non per destino, ma per scelta.

Snyder e Capullo non distruggono Batman: lo trasformano. Da detective urbano a figura mitologica, da vigilante notturno a elemento centrale della cosmologia DC. Dark Nights: Metal è un’opera che fonde horror, fantasy e supereroismo per riscrivere le origini di Bruce Wayne come parte di un disegno cosmico, ma senza svuotarne l’umanità.

È un equilibrio sottile e rischioso. Alcuni lettori vedono in questa costruzione una perdita di concretezza: il Batman pragmatico, calcolatore, razionale, sembra scomparire sotto strati di metallo oscuro, rune, multiversi e dèi antichi. Ma c’è un altro modo di leggere tutto questo: la grandezza di Batman non sta nell’assenza di tentazioni, ma nella capacità di affrontarle e superarle. Se l’oscurità lo ha scelto, è stato lui a rifiutarla.

Dark Nights: Metal mette in discussione il mito di Batman per rafforzarlo, non per distruggerlo. L’introduzione di Barbatos e del Multiverso Oscuro non serve a negare l’eroismo del Cavaliere Oscuro, ma a testarne i limiti. Lungi dall’essere una marionetta, Batman si conferma ancora una volta un uomo che combatte — con ogni fibra — per restare integro in un universo che spinge costantemente verso il caos.

In un mondo narrativo sempre più complesso, il fascino di Batman rimane proprio in questo: non è ciò che gli accade a definirlo, ma come lui reagisce. E anche se l’intero multiverso cospira per corromperlo, lui sceglie la via più difficile. Quella dell’eroe.



mercoledì 25 giugno 2025

"I Veri Morti nei Fumetti: Quando la Tomba Resta Chiusa"

Nel vasto e mutevole universo dei fumetti, la morte è raramente definitiva. Superman è tornato. Capitan America è tornato. Anche Jason Todd, il secondo Robin, è tornato. In un mondo narrativo dove ogni addio sembra reversibile, ci si potrebbe chiedere se esista davvero qualcuno che "resta morto". E la risposta, per quanto sorprendente, è sì: ci sono personaggi la cui morte è diventata parte integrante della loro identità, o il cui ritorno infrangerebbe irrimediabilmente le fondamenta narrative su cui si regge l’intero universo in cui vivono.

Vediamo chi sono i veri "defunti" dei fumetti. E perché — almeno per ora — nessun autore ha osato davvero resuscitarli.

Thomas e Martha Wayne: le vittime originarie

I genitori di Bruce Wayne sono l’asse portante dell’intera mitologia di Batman. Morti in un vicolo, freddati da un ladro qualunque, rappresentano l’origine dell’Oscurità del Cavaliere. La loro morte non è solo una tragedia, è l’evento fondativo dell’intero personaggio. Se tornassero, l’essenza stessa di Batman verrebbe meno. Hanno fatto capolino in realtà alternative, visioni, sogni. Ma la loro tomba, nella continuity principale, è rimasta sigillata.

Zio Ben: il martire morale dell’universo Marvel

"Da un grande potere derivano grandi responsabilità." È la frase più famosa dell’universo Marvel, e il suo portavoce — Ben Parker — è morto ancor prima che Spider-Man diventasse Spider-Man. Zio Ben è il sacrificio che plasma l'eroe. È apparso in tantissime forme (fantasmi, cloni, universi paralleli), ma l'originale resta morto. Sempre. Perché la sua resurrezione distruggerebbe la spina dorsale morale di Peter Parker.

Gwen Stacy: l’innocenza perduta

La sua morte segna un confine netto tra la Silver Age e una fase più cupa e matura dei fumetti. Gwen Stacy è la prima amata di Peter Parker, uccisa tragicamente dal Green Goblin. La scena in cui muore — il collo spezzato durante un tentativo di salvataggio — è ancora oggi una delle più scioccanti nella storia del fumetto. Anche se esiste una "Spider-Gwen" in un universo parallelo, la Gwen originale non è mai tornata. E mai dovrebbe.

Abin Sur: il precursore silenzioso

Chi ha letto Green Lantern sa che Abin Sur è il predecessore di Hal Jordan. È colui che muore per trasmettere il suo anello, e quindi la sua eredità. La sua morte è necessaria e definitiva. Qualsiasi sua resurrezione trasformerebbe il passaggio del testimone da evento eroico a semplice formalità. La sua figura resta, ma solo come ricordo o ologramma.

Boston Brand / Deadman: morto per sempre, ma attivo

Boston Brand è un caso particolare: è morto, ma è ancora protagonista. Sì, è un fantasma — e non è mai tornato in vita in senso fisico. La sua essenza stessa è quella di un morto che continua ad agire. Deadman vive nella condizione di spettro, aiutando i vivi, ma non può riacquistare il suo corpo. La morte per lui non è un evento temporaneo, è la nuova normalità.

Gentleman Ghost: spirito eterno

Jim Craddock, alias Gentleman Ghost, è morto da secoli. È un ladro aristocratico diventato spettro vendicativo. E no, non ha mai fatto ritorno tra i vivi. La sua identità è legata al fatto di essere un fantasma. Non può tornare in vita, e se lo facesse, cesserebbe di essere interessante. È uno di quei personaggi che esistono solo in quanto non-esistenti.

Altri casi notevoli

  • Ted Kord (Blue Beetle): morto durante Countdown to Infinite Crisis. La sua morte è stata significativa, anche se negli ultimi anni si è tentato di riportarlo in scena, spesso in forma alternativa.

  • Sarah Essen (moglie di Jim Gordon): assassinata dal Joker in No Man's Land, è uno dei rari esempi di morte "permanente" nel mondo di Batman. Mai davvero tornata.

  • Heidi Sladkin (Fables): personaggio minore, ma con una delle morti più drammatiche e immutabili nell’universo Vertigo.

  • Captain Marvel (Mar-Vell): morto di cancro in una delle storie più toccanti della Marvel, The Death of Captain Marvel. Anche lui non è mai tornato, se non in brevi apparizioni spirituali o come eco di memoria.

Molti di questi personaggi non sono semplici comparse. La loro morte serve a definire l’universo che li circonda, spesso più di quanto farebbe la loro vita. In un contesto narrativo dove anche la morte è reversibile, restare morti è un gesto radicale. È una scelta editoriale che obbliga personaggi e lettori a confrontarsi con l’irreversibilità.

Zio Ben, Thomas e Martha Wayne, Gwen Stacy: questi nomi non sono importanti solo per ciò che hanno fatto da vivi, ma per l’impatto della loro assenza. In un mondo di superpoteri, resurrezioni, cloni e viaggi nel tempo, la vera eccezione è chi non torna mai. E proprio per questo, restano più vivi che mai nella memoria dei lettori.



martedì 24 giugno 2025

Se Batman si unisse a Talia in Batman: The Doom That Came to Gotham: Un futuro oscuro tra amore, potere e dannazione

Nell’universo alternativo e terrificante di Batman: The Doom That Came to Gotham, l’unione tra Bruce Wayne e Talia al Ghul non sarebbe solo una svolta sentimentale: sarebbe un cataclisma. In questo Elseworld lovecraftiano – scritto da Mike Mignola e Richard Pace – Gotham City è un luogo impregnato di misticismo, mostri cosmici e profezie apocalittiche. Batman non è più il detective urbano che conosciamo, ma un investigatore esoterico sulle tracce di un male primordiale risvegliato da un passato dimenticato.

E se, in questo scenario già corrotto dal soprannaturale, Bruce avesse scelto di unire le forze con Talia al Ghul?

Nel canone regolare, il rapporto tra Batman e Talia è una danza di seduzione, potere e tradimento. Figlia di Ra’s al Ghul e erede della Lega degli Assassini, Talia rappresenta la linea sottile tra l’amore e la distruzione. Ma in The Doom That Came to Gotham, dove ogni personaggio è una reinterpretazione cupa e distorta di sé stesso, la loro unione potrebbe riscrivere il destino stesso della città.

In questa storia, Talia incarna una delle forze oscure legate agli Antichi – esseri extradimensionali simili agli dèi lovecraftiani – e la sua agenda non è più solo quella di completare l’opera del padre, ma di portare a termine un rituale che potrebbe rendere Gotham la nuova R’lyeh. Se Bruce, corrotto dalla disperazione e dall’oscurità che lo circonda, cedesse al richiamo di Talia, si aprirebbero scenari da incubo.

Il Batman che stringe un patto con Talia in questo contesto non sarebbe l’eroe incorruttibile che conosciamo. Sarebbe una creatura tormentata, capace di piegare il proprio codice morale fino a spezzarlo. Potremmo immaginare un Bruce Wayne che, sopraffatto dalla rivelazione dell’esistenza di forze cosmiche ostili e dalla consapevolezza dell’inutilità delle sue crociate notturne, accetti l’aiuto di Talia per ottenere una conoscenza arcana – e un potere – capaci di salvare la città… o di dominarla.

In tal senso, Talia assumerebbe il ruolo di un’iniziatrice oscura, trascinando Bruce in un rituale esoterico che lo trasformi in un “Uomo d’Acciaio” non nel senso kryptoniano del termine, ma come un essere fuso con il potere antico, capace di opporsi ai Grandi Antichi ma al prezzo della propria umanità. Invece di contrastare l’orrore, Batman ne diventerebbe un avatar, un’entità liminale tra l’uomo e il dio.

Se la Gotham di Mignola è un organismo vivente, pulsante e infestato da forze oltre la comprensione, la sua salvezza o distruzione dipende da chi ne incarna l’essenza. Un Batman unito a Talia potrebbe spezzare l’equilibrio stesso del bene e del male, divenendo un sovrano oscuro adorato come divinità o temuto come profeta apocalittico.

La Lega degli Assassini, in questa realtà, potrebbe rappresentare una setta millenaria che custodisce i rituali necessari a evocare o contenere i mostri dell’abisso. Con Bruce al suo fianco, Talia potrebbe finalmente completare il ciclo di resurrezione dei Grandi Antichi, utilizzando il Cavaliere Oscuro come tramite. Immaginate un Batman che indossa un’armatura rituale, con simboli runici incisi sul petto, occhi che brillano di luce ultraterrena e una mente che abbraccia la follia cosmica come metodo per ricostruire l’ordine.

In questa visione, l’amore tra Bruce e Talia non sarebbe un’eccezione tragica, ma una scelta consapevole. Una discesa nell’inferno fatta mano nella mano. La loro unione rappresenterebbe la fusione tra razionalità e caos, tra vendetta e rinascita. Ma come spesso accade nelle storie lovecraftiane, ogni tentativo di controllare l’ignoto finisce per esserne consumato.

Alla fine, Bruce potrebbe rendersi conto che il prezzo pagato è troppo alto. La sua identità come Batman dissolta, la città in ginocchio, e Talia ormai tutt’uno con le forze che aveva promesso di dominare. L’ultima pagina di questa storia potrebbe mostrare un Bruce Wayne che si sacrifica per chiudere il portale, troppo tardi, ormai contaminato, mentre Gotham sprofonda in un crepuscolo eterno.

Mike Mignola ha sempre saputo combinare orrore gotico e simbolismo mitico, come dimostrato in Hellboy e nei suoi spin-off. L’idea di un Batman che flirta con l’abisso, che rifiuta la via del raziocinio per abbracciare la follia mistica, si adatta perfettamente al tono di The Doom That Came to Gotham. E se l’unione con Talia fosse il catalizzatore? Un patto d’amore e distruzione che trasforma il più grande detective del mondo in un guardiano dimenticato tra le pieghe della realtà.

L’unione tra Batman e Talia in The Doom That Came to Gotham non sarebbe solo un evento narrativo: sarebbe l’inizio della fine. Un amore antico quanto le stelle, segnato dal sangue, dalla conoscenza proibita e da un destino ineluttabile. Un finale cupo, poetico, e assolutamente lovecraftiano.