domenica 27 aprile 2025

Aquaman contro Superman: lo scontro impossibile tra forza mitologica e potere assoluto

 




Quando due dei titani più emblematici dell’Universo DC si affrontano, il confine tra mito e realtà fumettistica si fa sottile. Da un lato Superman, l’alieno invulnerabile, custode del sole giallo e archetipo assoluto dell’eroe; dall’altro Aquaman, sovrano degli abissi, ponte tra l’umano e il divino, guerriero forgiato in una civiltà tanto antica quanto spietata. Un duello tra questi due non è mai solo una battaglia. È una domanda aperta: che cosa significa davvero “potere”, nel contesto narrativo e simbolico della DC Comics?

E la risposta, come spesso accade nei comics, è: dipende.

La leggenda di Arthur

Arthur Curry, meglio conosciuto come Aquaman, è uno dei personaggi più sottovalutati della scena supereroistica, almeno fino all’ondata revisionista degli anni '90 e all’affermazione post-New 52. Nato dalla regina atlantidea Atlanna e da un guardiano del faro del Maine, Aquaman è tanto un erede al trono quanto un ibrido biologico unico, capace di sopravvivere – e dominare – in ambienti ostili come la Fossa delle Marianne.

Non è solo un uomo che parla coi pesci. È un sovrano che impugna il Tridente di Poseidone, un’arma magica capace di ferire divinità e squarciare la realtà. È un combattente esperto, allenato dalla cultura marziale di Atlantide, e possiede una resistenza, una forza e una velocità fuori dalla norma. La sua pelle è paragonabile a quella dell’acciaio e i suoi riflessi, potenziati dalla vita subacquea, sfidano quelli del più letale dei ninja.

Arthur è anche un essere capace di sollevare un sottomarino nucleare fuori dall’acqua, nuotare controcorrente lungo le cascate del Niagara e saltare per quindici miglia. In un ambiente acquatico, può percepire ogni vibrazione, ogni eco, ogni minaccia. È, in breve, un dio nel proprio regno.

L’invulnerabilità del figlio di Krypton

Ma Clark Kent, alias Superman, gioca in un’altra lega. Nato sul pianeta Krypton e cresciuto nel cuore del Kansas, Clark è il sogno americano con un mantello rosso: invincibile, incorruttibile, instancabile. Esposto alla radiazione di un sole giallo, le sue cellule si comportano come batterie solari, alimentando una forza capace di sollevare montagne, correre più veloce della luce e resistere all’impatto diretto con un’esplosione nucleare.

Nella sua versione più potente, Superman è stato mostrato spaccare lune a pugni, contenere buchi neri con la forza delle braccia e rimanere sveglio per settimane mentre solleva un pianeta intero, senza mostrare segni di fatica. La sua sola visione calorifica può vaporizzare un esercito. Il suo udito può captare sussurri a miliardi di chilometri. E la sua velocità, se liberata dai vincoli della trama, può infrangere le barriere del tempo.

E se combattessero davvero?

Il fumetto ha risposto, in parte. In più occasioni, Superman e Aquaman si sono scontrati. Ma raramente è stato un combattimento “leale”. In alcuni casi, Clark era indebolito dalla kryptonite, o da ambienti ostili; in altri, Arthur godeva di potenziamenti magici o si trovava nel suo elemento: le profondità marine. E in tutti questi casi, il bilancio tendeva sorprendentemente in favore del Re di Atlantide.

La magia è la grande nemesi di Superman. Non avendo difese naturali contro di essa, il Tridente magico di Aquaman può ferirlo. Inoltre, sotto pressione estrema e privato della luce solare, Clark perde potenza rapidamente. In quei momenti, Arthur può effettivamente dominarlo, con un mix letale di forza, esperienza bellica e abilità mistica.

Ma c'è un ma.

Quando Superman è al pieno delle sue forze, nessuna creatura terrena o marina può realmente eguagliarlo. Anche Wonder Woman, che ha più volte messo Superman in difficoltà, lo fa sfruttando una combinazione di strategia, magia e determinazione mitologica. Aquaman, per quanto temibile, non ha lo stesso margine. La sua forza è titanica, ma non planetaria. La sua resistenza è sovrumana, ma non solare. Il suo potere è vasto, ma non cosmico.

Aquaman è l’equivalente di una forza della natura. Nell’acqua, è sovrano e invincibile. Ma Superman è più di una forza della natura: è una legge universale. Nei termini più crudi della potenza bruta, Clark vince. Sempre. A meno che la trama non lo voglia diversamente – e qui sta la bellezza dei fumetti.

Le storie di supereroi non seguono la logica lineare del “più forte vince”. Seguono le esigenze emotive e narrative. Un Aquaman arrabbiato, ferito, messo all’angolo, può diventare il simbolo di ciò che rende un eroe davvero invincibile: la volontà. E in quei momenti, anche Superman può cadere. Perché alla fine, non è il potere a determinare l’esito di uno scontro, ma il contesto, il messaggio e la visione dell’autore.

E così, finché esisteranno oceani, Aquaman sarà il loro sovrano. Ma finché brillerà un sole giallo nel cielo, Superman sarà sempre... Superman.



sabato 26 aprile 2025

Perché i Marziani non hanno conquistato l’universo? La brutale verità dietro il potere cosmico spezzato degli alieni di Marte

Nell’infinito panorama narrativo dell’universo DC, poche domande risultano tanto affascinanti quanto irrisolte come questa: perché i Marziani, creature di potenza quasi divina, non sono riusciti a conquistare l’universo? Una razza capace di piegare la materia, dominare le menti e rigenerarsi da ferite mortali avrebbe potuto – e forse dovuto – regnare incontrastata sulle galassie. Eppure, così non è stato. Il motivo? Una guerra intestina devastante, un intervento divino travestito da atto preventivo, e un meccanismo di autodistruzione incastonato nel loro stesso DNA psichico: il terrore ancestrale del fuoco.

In origine, i Marziani erano noti come Burning Martians – Marziani Ardenti – e non avevano nulla a che fare con i pacifici e riflessivi abitanti di Marte che il lettore moderno è abituato a conoscere. Essi erano una razza di titani bellicosi, creature dall’intelletto superiore e dalle capacità fisiche e psichiche quasi illimitate. A differenza delle razze che si affidano alla tecnologia o alla scienza, i Marziani Ardenti erano esseri evoluti in senso puro: nati con poteri che superano ogni logica terrena, capaci di trasformare il loro corpo, leggere e alterare la mente, attraversare la materia, manipolare l’energia.

Un dettaglio inquietante: si riproducevano asessualmente, generando nuove entità da sé stessi. Una stirpe che non conosceva l’estinzione, che non necessitava di pause tra una generazione e l’altra, e che non si sarebbe mai fermata, se non fosse stato per un vizio strutturale: l’odio reciproco.

I Marziani Ardenti non avevano rivali... se non loro stessi.

Il loro impulso distruttivo, invece di dirigersi verso l’esterno, esplose all’interno. Le guerre civili marziane rasero al suolo interi continenti del loro pianeta e minacciarono l’equilibrio cosmico. Ed è qui che intervennero i Guardiani dell’Universo, gli antichi e potentissimi custodi dell’ordine, originari del pianeta Oa. Timorosi che l’incontrollabile furia marziana potesse annientare civiltà intere – o addirittura l’intero Corpo delle Lanterne Verdi – decisero di agire drasticamente.

I Guardiani sconfissero i Marziani Ardenti e ne divisero la razza in due stirpi: i Marziani Verdi, portatori di empatia, giustizia e riflessione, e i Marziani Bianchi, più aggressivi, spinti da ambizione e sete di potere. Ma il vero colpo di genio (o crudeltà cosmica, a seconda del punto di vista) fu l’impianto telepatico di una debolezza psicogenetica: il terrore viscerale del fuoco. Non una semplice vulnerabilità fisica, ma un blocco mentale, un feticcio dell’orrore che paralizza e annienta il potenziale stesso del marziano, rendendolo inerme di fronte a fiamme anche simboliche.

Questa mossa trasformò una razza da invincibile a controllabile.

Ma la minaccia non fu mai completamente eliminata. Anzi, tornò in superficie con una forza spaventosa quando J’onn J’onzz, noto al pubblico come Martian Manhunter, uno degli ultimi Marziani Verdi sopravvissuti, si fuse temporaneamente con un Marziano Bianco. La fusione non solo ricombinò i due rami della specie, ma risvegliò la loro forma ancestrale, generando un essere di terrore puro: Fernus, il Marziano Ardente rinato.

Fernus era il riflesso dell’incubo che i Guardiani avevano cercato di seppellire nei secoli. Immune alla propria paura, Fernus poteva guarire in pochi secondi da qualsiasi danno, possedeva una telepatia che superava ogni barriera, e si dimostrò in grado di sconfiggere da solo l’intera Justice League, con un’efficienza brutale. Il suo fuoco psichico poteva annientare anche esseri invulnerabili al fuoco fisico. La minaccia era totale. Eppure, nemmeno allora, l’universo fu conquistato. La sua disfatta arrivò grazie a un elemento che nessuno avrebbe previsto: Plastic Man.


Sottovalutato, spesso comico, apparentemente secondario, Plastic Man si rivelò l’unico essere immune sia agli attacchi fisici che mentali di Fernus. In un duello estenuante, riuscì a contenere l’entità e riportare l’equilibrio.

Il caso Fernus non è solo un episodio isolato. È una finestra aperta su un orrore latente. La verità è che i Marziani avrebbero potuto conquistare l’universo. Ma non lo hanno fatto per due motivi fondamentali: uno esterno, l’intervento dei Guardiani; e uno interno, la loro stessa natura autodistruttiva. Una razza in guerra con sé stessa è destinata a fallire, per quanto potente possa essere. E una razza che teme visceralmente una scintilla, non può accendere l’incendio della conquista galattica.

E così, l’universo dorme sonni relativamente tranquilli. Ma resta la domanda: cosa accadrebbe se un giorno un Marziano dovesse superare davvero la paura del fuoco e riunire sotto di sé le due stirpi divise? La risposta non è solo fantascienza. È una minaccia silenziosa, scritta nei geni di un popolo caduto, ma mai del tutto sconfitto.



venerdì 25 aprile 2025

Joker contro i suoi imitatori: l’incubo dell’originale tra caos e delirio

Nel vasto e disturbante pantheon dei villain dell’universo DC Comics, il Joker occupa una posizione che sfugge a qualsiasi classificazione convenzionale. È un’anomalia vivente, un agente del caos, un nemico archetipico che esiste non tanto per distruggere Gotham, quanto per rovesciare l’ordine stesso su cui essa si fonda. Ma cosa accade quando qualcun altro – o più di uno – decide di indossare il suo ghigno, replicarne il maquillage e gettarsi in una spirale di crimini in suo nome? Qual è la reazione del Joker di fronte a chi cerca di imitarlo, perfino nel nome del rispetto?

Una risposta è contenuta nel caso grottesco e tragico di Curtis Base, una figura minore ma emblematica del tipo di reazione che l’originale Clown Principe del Crimine riserva ai suoi “fan” più devoti. Apparso in una delle tante storyline in cui Gotham sembra aver perso definitivamente il controllo, Base decide di approfittare di un momento d’assenza – o presunta morte – del Joker per rivendicare il ruolo di suo successore naturale. Maschera sul volto, pistola alla mano, Curtis si lancia in una serie di crimini degni dell’originale, con l’obiettivo non solo di “onorarlo”, ma di superarlo.

Quando il vero Joker riappare, però, la risposta è brutale, definitiva, e rivelatrice del suo codice etico (per quanto deformato): non esiste posto per l’imitazione in un’opera d’arte unica.

Il confronto tra i due è un balletto allucinato sul filo della follia, osservato da un Batman che, per una volta, resta testimone più che protagonista. I due Joker combattono – non solo per il dominio criminale, ma per l’identità stessa. Curtis Base muore, inghiottito dall’acido che, in passato, aveva “creato” il Joker originale. Un’ironia velenosa: laddove l’acido aveva trasformato un uomo comune in una leggenda del crimine, ora uccide un imitatore con la presunzione di essere all’altezza.

Questa storia mette a fuoco un tratto fondamentale della psicologia del Joker: l’ossessione per l’unicità. Nonostante il suo amore per il caos e l’anarchia, il Joker è un narcisista dell’assurdo. Non tollera repliche, né aspiranti eredi. La sua esistenza si fonda sulla convinzione di essere l’unico capace di scuotere Gotham, di sfidare Batman, di incarnare il male con una teatralità che rasenta il sublime. Qualsiasi tentativo di emulazione è, nella sua mente contorta, un atto di sacrilegio. Che sia nato da devozione o rivalità, poco importa: la punizione sarà sempre la stessa.

Questo comportamento si è ripetuto più volte nel tempo. In Batman: The Dark Knight Returns, di Frank Miller, un talk show televisivo ospita un gruppo di giovani criminali truccati come il Joker, i cosiddetti "Jokerz", che emulano il suo stile e la sua retorica. Anche in questo caso, il ritorno del vero Joker è accompagnato da una reazione di disgusto e violenza: non si divide il palcoscenico con nessuno, nemmeno con chi vorrebbe venerarlo come un dio.

Eppure, in una delle sue incarnazioni più complesse – nella serie Batman: Three Jokers – scopriamo che potrebbero essere esistiti più Joker contemporaneamente. È un’ipotesi sconcertante, esplorata con ambiguità, ma che offre uno spiraglio nella psiche del villain: forse, nel fondo della sua coscienza frammentata, il Joker stesso è consapevole di non essere una singola persona, ma un concetto. Un’entità che può mutare volto, ma mai essenza. Ed è proprio per questo che rifiuta ogni imitazione: non per insicurezza, ma per difesa del proprio mito.

Curtis Base, dunque, non è stato il primo a pagare il prezzo dell’idolatria sbagliata. E non sarà l’ultimo. Gotham è una città che sforna imitatori come fabbriche clandestine sfornano maschere, ma nessuno riesce mai a indossare davvero quella del Joker. Perché ciò che rende il Clown Principe del Crimine ciò che è – il suo genio disturbato, il suo senso dell’umorismo perverso, il suo disprezzo per ogni logica – non può essere insegnato, né trasmesso. È una maledizione personale.

Chi cerca di emularlo, finisce col bruciare in quello stesso acido che l’ha creato.
E il Joker, inevitabilmente, ride per ultimo.



giovedì 24 aprile 2025

Victor Zsasz: Il Cattivo Più Vile e Spietato dei Fumetti

Nei fumetti, molti villain si contraddistinguono per la loro crudeltà e le loro motivazioni contorte, ma pochi sono tanto spietati e imprevedibili quanto Victor Zsasz. Se c’è un cattivo che incarna la pura malvagità, quella che non fa distinzione tra le vittime, che non ha un piano se non la distruzione per il gusto della distruzione, è proprio lui.

Victor Zsasz è un personaggio che ha avuto il privilegio (o la maledizione) di emergere come uno dei più agghiaccianti e psicotici nemici di Batman. La sua caratteristica più distintiva è il suo modo di uccidere. Non ha bisogno di una grande pianificazione o di gadget tecnologici per commettere i suoi crimini: tutto ciò di cui ha bisogno è un coltello e una mente disturbata. Ogni vittima che Zsasz uccide viene marchiata con una cicatrice sul suo corpo, come se il suo stesso corpo fosse diventato un memoriale delle sue atrocità. Ogni segno, ogni cicatrice, rappresenta una vita che ha preso. E ciò che lo rende ancora più terrificante è il fatto che Zsasz uccide senza motivo apparente. Non c’è un obiettivo specifico, un vendetta personale o una missione da compiere: Zsasz uccide per puro piacere, per l'ebbrezza che prova nell’imporre la morte su chiunque gli capiti a tiro.

La vera essenza di Zsasz, ciò che lo rende una minaccia ancora più pericolosa, è la sua imprevedibilità. A differenza di altri criminali, che operano secondo un piano preciso o per guadagnare potere, Zsasz non ha limiti. Potrebbe uccidere chiunque in qualsiasi momento, senza preavviso. Questa sua natura incontrollabile lo rende imprevedibile anche per Batman, che, per quanto esperto nel decifrare i suoi nemici, non riesce mai a prevedere i suoi movimenti. La sua assenza di motivazioni e il piacere che trae dal sangue versato lo rendono uno degli avversari più pericolosi di Gotham.

Un esempio lampante della sua spietatezza è la sua apparizione in Injustice: Gods Among Us, un fumetto che esplora una realtà alternativa in cui Superman diventa un dittatore tirannico. In questa trama, Zsasz viene liberato da Superman per interrogare Alfred Pennyworth su dove si trovi Batman. La scena in cui Zsasz viene rilasciato per torturare e minacciare Alfred è un chiaro esempio della sua crudeltà: il solo pensiero di infliggere dolore a una figura amata e rispettata come Alfred dimostra quanto sia disposto a spingersi oltre ogni limite umano.

Quando Batman, ovviamente, interviene, il confronto tra lui e Zsasz è inevitabile. L’aspetto più inquietante non è solo la lotta fisica, ma la visione della sua stessa mente contorta che prende forma nei suoi atti. Zsasz non ha alcuna remora nel minacciare la vita di Alfred, ma la sua vera missione è di essere il peggior incubo possibile per Batman.

E se Batman è la figura che tenta costantemente di mantenere il controllo sulla sua città, il giovane Damian Wayne rappresenta l’aspetto più umano di quest’uomo tormentato. Un incontro in particolare con Zsasz rivela come il giovane Robin non sia immune alla brutalità di un nemico come lui. Quando Zsasz minaccia Alfred, il dialogo tra Damian e Zsasz tocca un punto delicato: non si tratta più di un semplice combattimento tra eroi e cattivi, ma di una battaglia psicologica che mette in gioco la vita delle persone più care a Batman. È in questi momenti che la figura di Zsasz si distingue dalla massa di altri villain: non agisce solo per ottenere qualcosa, ma per il piacere di vedere l'altro soffrire, per colpire i punti deboli dei suoi avversari, non solo fisicamente ma anche emotivamente.

Ciò che rende Zsasz veramente terribile non è solo la sua violenza, ma il suo essere una forza di distruzione priva di motivazioni razionali. È il caos personificato, un uomo che uccide perché può, senza una causa da seguire se non la sua stessa follia. In un mondo di nemici con motivazioni complesse e piani elaborati, Zsasz rappresenta una minaccia che non può essere fermata con la logica o la forza bruta. È un'entità caotica che opera senza scrupoli, senza esitazione, e con un piacere disturbante nel seminare terrore.

Se Batman è il paladino della giustizia e la sua città è un luogo di speranza, Zsasz è il suo antitesi perfetta. La sua mancanza di empatia e la sua capacità di infliggere sofferenza senza motivo lo rendono una figura di puro male, un simbolo di quella parte oscura dell'animo umano che non conosce redenzione. Zsasz non è solo un assassino, è un mostro che trascende la semplice violenza, e per questo merita di essere considerato uno dei villain più vile e spietato dei fumetti.



mercoledì 23 aprile 2025

La Ragazza con gli Scoiattoli e il Mondo ai Suoi Piedi: Perché Squirrel Girl è il Supereroe più Potente (e Assurdo) del Canone Marvel


Ironica, imbattibile, apparentemente innocua: ma nella gerarchia degli dèi dei fumetti, Squirrel Girl è l’anomalia che sovverte ogni regola narrativa.

Nel vasto pantheon di supereroi Marvel e DC, ci sono figure leggendarie i cui nomi evocano timore, potere e solennità: Superman, Thor, Doctor Strange, Wonder Woman. E poi… c’è Squirrel Girl. Con denti da roditore, un esercito di scoiattoli e un costume che non incute certo timore, è — a prima vista — poco più di un simpatico esperimento fallito. Eppure, questa giovane donna ha qualcosa che nessun altro può vantare: un record di vittorie perfetto contro praticamente chiunque.

Sì, Squirrel Girl è una barzelletta. Ma è una barzelletta che batte Thanos.

Creata da Will Murray e Steve Ditko (sì, proprio quel Ditko), Doreen Green, alias Squirrel Girl, esordì nel 1991 sulle pagine di Marvel Super-Heroes vol. 2 #8. In origine era una parodia: una ragazzina entusiasta con poteri di scoiattolo e la missione di diventare compagna di Iron Man. Doveva essere un episodio comico, un diversivo leggero in un mondo sempre più cupo. Ma qualcosa andò storto... o meglio, qualcosa funzionò troppo bene.

Con un’agilità sovrumana, forza aumentata, capacità di parlare con gli scoiattoli (compreso il suo fido compagno Tippy-Toe) e un ottimismo travolgente, Squirrel Girl ha trasformato il ridicolo in risorsa. Ed è diventata — senza alcuna ironia — una delle supereroine più efficaci e imbattibili della storia Marvel.

Squirrel Girl ha sconfitto tutti. E quando diciamo tutti, non è una metafora. Ecco alcuni dei nomi illustri nel suo curriculum di demolizioni:

  • Wolverine – travolto.

  • Deadpool – battuto con furbizia e agilità.

  • Doctor Doom – letteralmente umiliato (con scoiattoli, ovviamente).

  • Thanos – il Titano Pazzo stesso. E sì, nel canone.

  • MODOK, Terrax, Kraven il Cacciatore, e perfino il Re degli Inumani, Black Bolt.

  • TUTTO L’UNIVERSO MARVEL, in più versioni alternative, crossover e scontri improbabili.

Unica eccezione? Galactus. Ma solo perché non c'è stato uno scontro. Al contrario, Doreen gli ha parlato. Lo ha convinto. Lo ha fatto ragionare. E alla fine, ha ottenuto qualcosa di più difficile di una vittoria fisica: la sua amicizia.

Come ha fatto una personaggia del genere a diventare legittimamente imbattibile? La risposta è tanto semplice quanto geniale: è un meta-personaggio.

Squirrel Girl è stata concepita come una satira del concetto stesso di "superpotere". Non ha bisogno di un martello cosmico o di occhi laser: ha l'intelligenza narrativa. Gli autori l’hanno pensata come invincibile, e quindi lo è davvero, perché ogni battaglia viene scritta per farla vincere. Non per forza con la forza bruta: spesso usa la diplomazia, la logica, o una creatività disarmante. Batte i nemici nel loro stesso campo, ribaltando le regole con la sola forza dell’assurdo.

E proprio questo ha affascinato lettori e critici: Squirrel Girl è un messaggio. Un invito a non prendere troppo sul serio un genere che, per quanto epico, può (e deve) anche sorridere di sé stesso.

La risposta è complessa. In superficie, sì. È una caricatura, una figura esagerata per effetto comico. Ma più la si osserva, più si comprende che è anche un potente contrappunto filosofico all’universo Marvel: mentre tutti si accaniscono nella lotta, nell’epica, nel pathos, Doreen vince senza distruggere. Risolve. Dialoga. Conquista con empatia.

Un mondo in cui Squirrel Girl è la più forte non è un mondo sbagliato: è un universo che premia la dissonanza, l’ironia, la speranza. È lo spazio concesso al lettore per respirare, ridere e — paradossalmente — riflettere.

Nel multiverso Marvel, ci sono altri personaggi incredibilmente potenti, come Franklin Richards, che può creare interi universi e sì, ha persino instaurato un legame con Galactus. Ma Franklin è un demiurgo, un dio bambino. Squirrel Girl è una studentessa universitaria con la passione per la programmazione informatica e un amore sincero per i piccoli roditori.

La sua potenza sta nella rottura della quarta parete e nella capacità di sovvertire i tropi. È imbattibile non per potere, ma per volontà narrativa. E questo la rende, nel suo modo surreale, la più pericolosa di tutte.

In un mondo di martelli magici, mantelli dell’invisibilità e raggi cosmici, la più potente è la ragazza con la coda pelosa e gli scoiattoli da combattimento.

Squirrel Girl non è solo uno scherzo.
È la battuta finale che ribalta l’universo.



L’Uomo che Corre per Odio: Perché Anti-Flash è il Cattivo più Terrificante della Storia dei Fumetti


Non è il Joker. Non è Thanos. Il villain più spaventoso dell’universo supereroistico è l’uomo che corre contro il tempo, contro la logica e contro l’amore.

C'è qualcosa di visceralmente inquietante nell’idea che il peggior incubo dell’eroe non sia un essere cosmico, non un genio criminale o un demone ultradimensionale, ma un uomo. Un uomo con una sola ossessione: distruggere tutto ciò che rende il suo avversario umano. Eroe. Amato. Vivo.

Il suo nome è Eobard Thawne, ma è meglio noto come Reverse-Flash, o per chi mastica meglio l’italiano, Anti-Flash. E se pensate che sia solo un “velocista malvagio”, un semplice “negativo” del protagonista, preparatevi a scoprire l’essenza del terrore nella sua forma più pura.

Alla base del personaggio c’è un concetto tanto semplice quanto devastante: Thawne è l’opposto di Barry Allen, ma non nel senso banale del termine. È l’anti-tesi assoluta: non solo si oppone a Flash, ma vive per negarlo, per cancellarlo, per riscrivere la realtà stessa in modo che Flash non sia mai esistito.

Thawne non combatte Flash con i pugni. Lo colpisce dove fa più male: nella storia. Nel tempo. Nella psiche. Nella memoria.

Flash salva la realtà. Thawne la smonta, con la stessa velocità con cui un colpo d’ala può alterare un uragano.

I suoi poteri sono, in una parola, apocalittici. Non è solo veloce: è più veloce della luce. Corre oltre la fisica conosciuta, si muove tra i secondi come un chirurgo impazzito tra le vene del tempo.

Può:

  • rubare la velocità agli altri, fermando il tempo a piacimento;

  • guarire a velocità sovrumana;

  • creare energia sufficiente a distruggere continenti, se non l’intera struttura molecolare del pianeta.

E se state pensando “sì, ma Flash è più veloce”, ricordate che l’unico motivo per cui Barry vince è che i fumetti glielo permettono. Perché nel mondo reale (quello dei lettori, non degli eroi), Thawne vince ogni volta.

A differenza di altri villain impulsivi o mossi dalla sete di potere, Thawne è un uomo di scienza. Proviene da un futuro distante, dove la tecnologia ha superato ogni barriera immaginabile. È in grado di comprendere la fisica quantistica come noi comprendiamo un orologio. Può manipolare la materia, la cronologia, la genetica. È Tony Stark, Reed Richards e Lex Luthor in un solo cervello — ma con la velocità di Dio.

E con un solo obiettivo: distruggere Flash. Non sconfiggerlo. Non vincere una battaglia. No: cancellarlo dalla linea temporale, spegnere ogni istante della sua esistenza. Privarlo di ogni gioia. Assicurarsi che il nome “Barry Allen” non venga mai pronunciato.

Ciò che rende Anti-Flash il più spaventoso di tutti non è solo il suo potere, ma la sua motivazione.

Thawne era un fan. Un devoto. Un uomo che ammirava Flash nel futuro… fino a quando non scoprì che era destinato a diventare il suo nemico. Questo evento lo spezzò. Lo consumò. Il suo amore per Flash si mutò in un odio ossessivo, come un ex che non riesce ad accettare il rifiuto — solo che può attraversare il tempo e uccidere tua madre prima che tu nasca.

Lui sa. Sa ogni passo, ogni scelta, ogni errore. Ha visto tutte le timeline, tutte le varianti. Non combatte Barry: lo scolpisce, lo perseguita, lo riplasma a sua immagine.

Ha cancellato la madre di Flash. Ha trasformato suo padre in un assassino. Ha avvelenato ogni relazione significativa. E continua a tornare. Perché non basta vincere. Deve riscrivere l’amore come odio, la velocità come maledizione, l’eroismo come fallimento.

Ci sono villain che minacciano l’universo. Ma Eobard Thawne minaccia la natura della realtà emotiva. Non vuole uccidere l’eroe: vuole che il suo eroismo non abbia mai avuto senso.

Perché? Perché l’amore che provava per Barry Allen si è deformato in un buco nero di vendetta. E come ogni buco nero, inghiotte tutto ciò che lo circonda, compresi noi lettori, che restiamo inchiodati a ogni storia in cui compare, tremando al pensiero che questa volta possa davvero vincere.

Se Thawne è un Dio dell’Odio, Barry Allen è il figlio prediletto della plot armor. Perché senza l’intervento degli autori, senza la magia narrativa del “il bene deve trionfare”, Anti-Flash avrebbe già vinto mille volte.

Ma noi lettori ricordiamo. E tremiamo. Perché sappiamo che ogni volta che sentiamo un fruscio d’aria… potrebbe essere lui.

L’uomo che corre per cancellare ogni cosa.

L’uomo più spaventoso dei fumetti.


lunedì 21 aprile 2025

Il Caduto: il terrificante araldo dimenticato che neppure Galactus riusciva a gestire

Nel panorama affollato e scintillante dell’universo Marvel, dominato da titani come Thanos, Galactus o il Dottor Destino, esistono personaggi talmente potenti — e al contempo così oscuri — da sembrare usciti da un incubo cosmico, relegati ai margini del canone per motivi che spesso sfuggono alla logica narrativa. Uno di questi è Il Caduto (The Fallen One), il primo araldo di Galactus, una creatura di potere tale da costringere lo stesso divoratore di mondi a rinnegarlo.

Mentre la maggior parte dei fan riconosce nomi come Silver Surfer o Terrax come araldi dell’entità cosmica, pochissimi conoscono il primo esperimento di Galactus con il concetto di “araldo”. E per buone ragioni: il risultato fu catastrofico.

Nato come servitore del Titano Cosmico, il Caduto venne creato non con il Potere Cosmico classico, ma con un’energia ancora più esotica: la Materia Nera, o in alcune versioni, l’Energia Oscura. Nella scienza reale, si tratta delle forze misteriose che costituiscono la maggior parte dell’universo e che regolano l’espansione cosmica. Nella Marvel, è un potere quasi proibito, incontrollabile, instabile e profondamente distruttivo.

Il Caduto fu forgiato con questa materia primordiale e assegnato a uno scopo semplice: cercare pianeti adatti per essere consumati da Galactus. Ma l’araldo andò ben oltre il mandato. Non si limitava a segnalare mondi: li annientava, bruciandoli, polverizzandoli, esplodendo interi sistemi solari nel suo percorso. Laddove Silver Surfer portava la tristezza della consapevolezza, il Caduto portava l’estasi della distruzione.

Galactus, entità nota per divorare pianeti interi, non è certo un moralista. Ma perfino lui comprese l’errore. Il Caduto non era un araldo: era una bomba ambulante, una calamità senza freni, incontrollabile, sadica e sempre più distante dalla volontà del suo creatore.

Dopo numerosi tentativi di contenimento falliti — il Caduto fuggiva sistematicamente da ogni prigione — Galactus decise infine di liberarsene nel modo più efficace possibile: affidandolo a Thanos.

Lo scontro tra Thanos e il Caduto è uno dei più sottovalutati ma intensi confronti cosmici della Marvel. I due si affrontarono su scala planetaria: il Caduto proiettava energia in grado di fare esplodere un gigante gassoso, Thanos manipolava strategicamente l’ambiente fino a fargli credere di essere vittorioso, per poi colpirlo con una detonazione planetaria.

Il Titano vinse, ma non con la forza: con l’inganno. Una dimostrazione chiara del livello di minaccia rappresentato dal Caduto: per batterlo, non basta essere più forti. Bisogna essere più astuti.

Cosa rende il Caduto così devastante? Un inventario sommario dei suoi poteri dà un’idea della portata:

  • Superforza e invulnerabilità su scala cosmica;

  • Volo a velocità superluminali, rendendolo in grado di attraversare galassie in tempo reale;

  • Manipolazione della materia: può ristrutturare gli atomi a piacere — trasformare esseri viventi in oggetti inanimati o alterare l’ambiente su scala planetaria;

  • Controllo elettromagnetico: una versione cosmica dei poteri di Magneto, applicata su scala stellare;

  • Proiezione energetica: tanto potente da incendiare atmosfere planetarie e far deflagrare mondi interi.

In parole semplici, è ciò che accade quando prendi un sadico cosmico e gli consegni le chiavi della struttura stessa dell’universo.

Perché non lo conosce nessuno?

Il Caduto è apparso per la prima volta nel 2003, nella serie Thanos di Jim Starlin e Ron Lim, e da allora ha avuto pochissime comparse. È una figura quasi mitologica, troppo potente per essere integrata facilmente nelle storie principali, troppo incontrollabile per diventare un personaggio ricorrente.

Ma forse è proprio questo il punto: il Caduto non è un cattivo da sconfiggere, è un promemoria narrativo. Una parabola su cosa succede quando anche gli dei perdono il controllo delle loro creazioni. Galactus stesso — una divinità oltre la moralità — ha imparato la lezione: non si infonde l’energia oscura in un essere instabile.

Se Silver Surfer è il filosofo tormentato, il Caduto è l’anarchico cosmico. Se Thanos cerca equilibrio attraverso il caos, il Caduto cerca solo la catarsi della distruzione. È la tossicodipendenza cosmica del potere, l’esperimento fallito che nessuno osa ripetere. E per questo, è uno dei villain Marvel più potenti che nessuno conosce.

Nel grande schema della Marvel, esistono esseri nati per governare... e altri nati per ricordarci cosa succede quando il potere va oltre ogni etica, ogni logica e ogni freno. Il Caduto è la risposta a una domanda che Galactus non avrebbe mai dovuto porsi.