sabato 20 gennaio 2018

Namor, il Re Imperfetto: Perché l’universo Marvel continua a tollerarlo – e ad aver bisogno di lui


Nel vasto e complicato universo Marvel, pochi personaggi incarnano le contraddizioni dell’eroismo quanto Namor il Sub-Mariner. Sovrano di un regno sommerso, mutante dalla doppia natura e figura antieroica per definizione, Namor McKenzie è spesso percepito come arrogante, impulsivo, persino pericoloso. Eppure, nonostante i suoi eccessi e le sue scelte moralmente ambigue, gli eroi della Terra – e i lettori – continuano a tollerarlo. Alcuni lo temono, molti lo disprezzano, ma quasi tutti, nel momento del bisogno, gli tendono la mano. Perché?

Namor non è un supercriminale. Non è Thanos, non è Magneto, e nemmeno Loki. Ma non è neanche un eroe tradizionale. È una figura ibrida, talvolta alleata degli Avengers, talvolta loro oppositore. È un uomo il cui temperamento ribolle come le profondità oceaniche da cui proviene, ma le cui motivazioni sono, nella maggior parte dei casi, comprensibili e persino nobili.

Nei suoi momenti peggiori, Namor è stato responsabile di atti violenti e aggressioni su vasta scala. Eppure, l’universo Marvel non lo colloca mai nella galleria dei “malvagi irriducibili”. La ragione risiede nel suo profilo morale stratificato: Namor agisce per il suo popolo. Come sovrano di Atlantide, le sue priorità sono profondamente radicate nella difesa del suo regno, dei suoi sudditi e del suo diritto di esistere in un mondo che ha spesso minacciato di distruggerlo.

Le recenti serie come Invaders (2019) e Marvel Snapshots offrono una prospettiva umana sulla figura di Namor, andando oltre la superficie del suo comportamento spigoloso. L’uomo che si è trovato a combattere i nazisti al fianco di Capitan America e la Torcia Umana originale ha vissuto orrori indicibili. Ha visto gli effetti dell’Olocausto, ha pianto per i crimini dell’umanità, ha assistito alla distruzione nucleare e ha subito manipolazioni psichiche devastanti, perfino da parte di Charles Xavier.

Questi eventi non giustificano i suoi errori, ma ne contestualizzano la natura. Il Namor che sfida i suoi pari in battaglia (Namor #7, 2024), ma si rifiuta di ucciderli; il Namor che abbandona il proprio trono per creare una nuova Atlantide unita e democratica; il Namor che, pur avendo il potere di dominare, sceglie di servire: è il frutto di una lunga lotta interiore, non di follia.

Uno degli aspetti più rivelatori è il continuo rispetto che Capitan America nutre per Namor. Steve Rogers, emblema dell’integrità morale, non si fiderebbe mai di qualcuno incapace di redenzione o indifferente alla giustizia. Eppure, nel corso degli anni, Cap ha scelto Namor come alleato, come confidente, persino come amico. Perché?

Perché Cap conosce Namor nella sua essenza: un uomo che sbaglia, sì, ma che cerca sempre – anche se a modo suo – di fare ciò che è giusto. In Invaders #12, quando Namor mette da parte l’orgoglio per ascoltare il consiglio di Capitan America e risparmiare un nemico, mostra chiaramente dove risieda la sua bussola morale: nel dovere, non nel dominio.

Una delle scelte più radicali e illuminate di Namor avviene proprio nel culmine del conflitto interno tra i regni sottomarini. Dopo aver dimostrato la sua superiorità militare, Namor non si incorona imperatore: rinuncia al trono. In un atto che pochi leader nella storia della narrativa supereroistica possono vantare, abolisce la monarchia, istituisce un nuovo ordine democratico e lascia il potere non per egoismo, ma per costruire qualcosa di più grande del suo nome.

Non c’è gloria nel suo gesto, né un ritorno personale. C’è consapevolezza. C’è maturità. C’è leadership.

Quando il destino del pianeta è in bilico, Namor è spesso tra i primi ad agire. In diverse storyline, ha salvato il mondo accanto agli X-Men, ha affrontato minacce cosmiche, ha protetto l’oceano da invasori interdimensionali. Non è l’eroe che ti salva sorridendo: è quello che ti salva mentre ti insulta.

Eppure è presente. Sempre.

Namor è l’eroe che non chiede approvazione. È colui che prende decisioni difficili, che mette i suoi ideali davanti alla propria reputazione. Ed è forse proprio per questo che la comunità eroica della Marvel continua a tollerarlo: perché sanno che quando tutto sarà perduto, Namor ci sarà. Non per vanagloria, ma per dovere. Perché sotto la superficie ruvida, batte il cuore di un sovrano pronto a sacrificarsi.

E allora, alla domanda: “Perché la gente sopporta Namor?”, la risposta non è affatto indulgente.

La gente sopporta Namor perché è necessario.

Perché, nonostante tutto, ha salvato più vite di quante ne abbia messe a rischio. Perché è uno specchio delle nostre contraddizioni: ego e altruismo, orgoglio e compassione, potere e responsabilità. Perché ci ricorda che essere giusti non significa essere perfetti, ma scegliere, ancora e ancora, la cosa giusta anche quando costa tutto.

E come ha detto qualcuno:
NESSUNO MANCHERÀ DI RISPETTO AL FIGLIO VENDICATORE.
Rispettate Namor. Non perché è simpatico. Ma perché, in un mondo che annega nel caos, lui sa ancora nuotare controcorrente.



venerdì 19 gennaio 2018

Al centro del cosmo Marvel: chi custodisce il cuore del Multiverso?

Nel panorama fumettistico contemporaneo, pochi universi narrativi si estendono con la profondità e la complessità dell’Universo Marvel. Un multiverso sterminato, frammentato in infinite realtà alternative, linee temporali divergenti e dimensioni in costante collisione. Ma se ogni universo ha un perimetro, è lecito chiedersi: esiste un centro? Una radice da cui tutto si dirama? Una manciata di personaggi — alcuni noti, altri enigmatici — sembrano risiedere proprio in quel crocevia di forze cosmiche e narrazioni.

Quattro figure emergono come presenze cardine al centro simbolico e metafisico del cosmo Marvel:

Ted Sallis (Uomo-Cosa), Franklin Richards, Wanda Maximoff e il Tribunale Vivente. Analizzarne la natura significa interrogarsi non solo su chi tiene in equilibrio questo universo, ma su cosa significhi davvero essere “centrali” in una realtà dove tutto è in movimento.

Apparentemente un mostro vegetale che ricorda i classici horror degli anni '70, l'Uomo-Cosa è in realtà uno dei personaggi più cruciali del Multiverso. Ted Sallis, scienziato trasformato in creatura a seguito di un esperimento fallito, è divenuto il guardiano silenzioso del Nexus di Tutte le Realtà: un punto cardine, localizzato nelle paludi della Florida, da cui è possibile accedere a ogni dimensione esistente.

Il suo ruolo non è attivo in senso tradizionale. Non vi è deliberazione o strategia nell'Uomo-Cosa, ma una forma di istintiva protezione. Tutto ciò che prova paura brucia al suo tocco, e chi minaccia l'equilibrio del Nexus viene annientato. La sua esistenza, tra coscienza e inconscio, lo pone come custode inconsapevole ma determinante: una creatura liminale posta esattamente nel cuore pulsante del multiverso.

Franklin Richards: il costruttore di universi

Figlio di Reed Richards e Susan Storm, Franklin Richards ha avuto, sin dalla sua introduzione, un’aura di eccezionalità. Mutante di livello omega, possiede la capacità — documentata e reiterata — di creare universi interi. Ma è un altro aspetto della sua essenza che lo rende potenzialmente uno degli esseri più “centrali” del cosmo Marvel: la sua natura di Essere Nexus in alcune realtà alternative.

Un Essere Nexus è una costante multiversale: un’entità che esiste in ogni possibile linea temporale e realtà parallela, mantenendo coerenza e consapevolezza. Sebbene la continuity mainstream (Terra-616) non abbia mai esplicitamente confermato questa sua natura, le implicazioni sono chiare: Franklin potrebbe essere un architetto cosmico onnipresente, una costante laddove tutto è mutevole. Una “radice” vivente del multiverso.

Wanda Maximoff: l’Essere Nexus riconosciuto

Se Franklin è una possibilità, Wanda Maximoff — la Scarlet Witch — è una certezza. Nell’universo principale della Marvel, Wanda è l’Essere Nexus riconosciuto, ovvero il fulcro magico e metafisico della sua realtà. La sua esistenza incarna il punto d’equilibrio tra caos e ordine.

Wanda non è solo una mutante: è una fonte vivente di magia del caos, capace di alterare la realtà con la sola forza di volontà. Il suo ruolo nel ciclo narrativo di House of M è emblematico: con tre parole — “No more mutants” — ha alterato radicalmente l’intera composizione genetica del pianeta, riducendo drasticamente la popolazione mutante. Questo potere, unito al suo status Nexus, la rende un punto focale della realtà stessa, una colonna portante la cui instabilità può far crollare l'intero universo narrativo.

Il Tribunale Vivente: l’equilibrio oltre i confini del multiverso

Ma se esiste una figura in grado di trascendere anche le realtà alternative, quella è il Tribunale Vivente. Apparso per la prima volta nel 1967, il Tribunale è una entità cosmica suprema: giudice, bilancia e boia della realtà, il cui compito è mantenere l’equilibrio tra tutte le forze esistenti.

Non appartiene a una singola dimensione: esiste simultaneamente in tutte le realtà, vegliando sull’interezza del Multiverso. Il suo volto triplice — ciascuno rappresentante un aspetto del giudizio — lo rende una personificazione dell’equità cosmica. Nessuna legge lo vincola, se non quella dell’armonia assoluta. Le sue decisioni sono irrevocabili. È intervenuto per impedire fusioni di universi, ha annientato interi mondi per mantenere l’equilibrio e si è scontrato con entità come Eternità e Infinito.

Interessante notare che, nell’universo alternativo 19141, il ruolo del Tribunale è stato assunto da Adam Warlock, a sottolineare come anche questa funzione possa mutare forma, pur restando centrale nel cosmo.

In un Multiverso come quello Marvel, il concetto di “centro” non è né fisico né univoco. Esistono centri narrativi, metafisici, cosmologici. Il Nexus di Tutte le Realtà è un crocevia spaziale; Franklin Richards, una presenza onnipervasiva; Wanda Maximoff, una calamita narrativa ed energetica; il Tribunale Vivente, una coscienza oltre il tempo e lo spazio.

In definitiva, il centro dell’Universo Marvel non è un punto, ma una rete di punti. Un equilibrio dinamico tra potere e responsabilità, magia e scienza, follia e giudizio. Un equilibrio che, come ben sanno i lettori affezionati, può essere infranto con un solo gesto, una sola decisione… o una sola parola.

Nel cuore del caos, Marvel continua a raccontare storie che riflettono le tensioni dell’universo stesso: non lineare, non stabile, ma eternamente affascinante.


giovedì 18 gennaio 2018

Quando un roditore sconfisse un dio: il giorno in cui Ch’p, la Lanterna Verde, batté Superman

Nel pantheon pressoché infinito dei fumetti statunitensi, poche figure godono della stessa aura di invincibilità e potere di Kal-El, meglio noto come Superman. L’Uomo d’Acciaio è da decenni l’incarnazione del bene, della forza e della giustizia, tanto da essere considerato, nel suo universo narrativo, come la misura ultima contro cui tutti gli altri eroi e minacce vengono valutati. Per questo motivo, quando un roditore antropomorfo grande quanto un gatto domestico riesce a sconfiggerlo — o almeno a metterlo temporaneamente fuori combattimento — la notizia è più che degna di prima pagina. Ma chi è Ch’p, e cosa ci racconta davvero questo improbabile scontro?

Ch’p è un personaggio che molti lettori casuali di fumetti potrebbero non conoscere affatto. Proveniente dal pianeta H’lven, Ch’p è un membro del Corpo delle Lanterne Verdi, un’organizzazione intergalattica paramilitare che funge da forza di polizia cosmica, dotata di anelli capaci di materializzare qualsiasi cosa la mente dell’utilizzatore riesca a immaginare, a patto che sia sostenuta da sufficiente forza di volontà. Creato nel 1982 da Paul Kupperberg e Don Newton, Ch’p fu originariamente concepito come un personaggio secondario, quasi comico, una parodia affettuosa delle mascotte animali tanto care agli anni ’80. Ma sotto la superficie caricaturale si nascondeva una lanterna coraggiosa, capace di affrontare crisi cosmiche al pari dei suoi colleghi più blasonati, come Hal Jordan o John Stewart.

L’episodio in questione appare in un racconto di tono leggermente umoristico, contenuto in una delle pubblicazioni spin-off del Corpo delle Lanterne Verdi. In questa storia — ambientata in una realtà alternativa, o "Elseworld" — Ch’p si ritrova a dover affrontare un Superman temporaneamente impazzito o fuori controllo (le versioni variano a seconda dell’edizione e della linea narrativa). Con gli altri membri della Justice League momentaneamente neutralizzati, spetta al piccolo Ch’p tentare di fermare il kryptoniano prima che causi danni irreparabili a una colonia civile su un pianeta neutrale.

A prima vista, l’esito dello scontro sembra scontato: un topo spaziale contro un dio solare. Eppure, è proprio qui che i fumetti riescono a sorprendere. Usando la sua abilità di creare costrutti con l’anello — un campo in cui eccelle per precisione e inventiva — Ch’p costruisce una serie di trappole che mettono Superman in difficoltà. Ma il vero colpo di scena arriva quando sfrutta un campo di luce verde pura che, a quanto pare, amplifica le radiazioni rosse simili a quelle del sole rosso di Krypton, rendendo Superman vulnerabile.

Il colpo di grazia non è una battaglia corpo a corpo, ma una dimostrazione di strategia, logica e coraggio. Ch’p riesce a contenere Superman abbastanza a lungo da permettere l’arrivo del Guardiano del Settore e il ripristino dell’equilibrio. Non è una vittoria per KO, ma una chiara dimostrazione di superiorità tattica.

Questa storia, seppur marginale e collocata fuori dalla continuity principale, ha suscitato negli anni un acceso dibattito tra fan e critici. Alcuni l’hanno bollata come un eccesso comico, un’iperbole fumettistica che sfrutta l’assurdità per strappare un sorriso. Ma altri — e non sono pochi — hanno letto in questa vicenda un messaggio più profondo, una parabola sul potere della determinazione, dell’intelligenza e della creatività.

Ch’p rappresenta l’eroe inaspettato, quello che nessuno prenderebbe sul serio, ma che è capace di affrontare una minaccia apparentemente insormontabile non con la forza bruta, ma con l’astuzia e il coraggio. In un mondo narrativo dove troppo spesso il potere viene misurato in termini di forza, velocità o invulnerabilità, Ch’p dimostra che l’arma più potente è la volontà — proprio il principio fondante del Corpo delle Lanterne Verdi.

Negli anni successivi alla pubblicazione, l’episodio è diventato oggetto di culto tra i fan più appassionati, tanto da essere ripreso, citato e reinterpretato in numerosi omaggi, parodie e raccolte antologiche. Alcuni autori, come Grant Morrison, Geoff Johns e Tom King, hanno espresso in interviste la loro simpatia per Ch’p, lodandone la complessità nascosta e il potenziale narrativo. È stato anche incluso in varie iniziative editoriali volte a riscoprire personaggi “di nicchia” ma dotati di una forte carica simbolica.

Nel 2019, una miniserie dedicata interamente alle Lanterne “minori” del Corpo, intitolata Tales from the Emerald Fringe, ha dedicato un intero albo a Ch’p, ricostruendone le origini, i traumi (tra cui la scoperta che, tornato da una missione, la sua compagna lo aveva dato per morto e si era risposata), e il suo ruolo in alcune delle guerre cosmiche più drammatiche della DC. Il tono, decisamente più adulto e profondo rispetto alle prime apparizioni, ha fatto emergere la figura di Ch’p come quella di un sopravvissuto, un eroe silenzioso che, proprio come molti grandi guerrieri, combatte con umiltà e senza clamore.

La domanda che resta è: cosa ci insegna davvero questa storia? Che anche i più piccoli possono battere i più grandi? Che l’intelligenza può superare la forza? Che ogni eroe, per quanto stravagante o marginale, può avere il suo momento di gloria?

Forse la risposta è sì a tutte queste domande. Ma più di tutto, la lezione di Ch’p è che in un universo governato da leggi cosmiche, crisi infinite e poteri divini, la vera forza risiede nella volontà di non arrendersi, di restare lucidi quando tutto intorno cade a pezzi, e di trovare una via anche quando nessuna sembra possibile.

In un’epoca dove i fumetti sono spesso dominati da reboot, crossover e narrazioni sempre più oscure, il successo morale di un roditore con un anello verde intorno alla zampa ci ricorda che, a volte, le storie più semplici sono anche quelle più luminose.

E forse, anche Superman, nel cuore, lo sa.



lunedì 15 gennaio 2018

Chi è davvero Gorilla Grodd? Viaggio nelle origini del gorilla più temuto dell’universo DC

Nel vasto e imprevedibile pantheon della DC Comics, pochi villain incarnano la sinistra fusione tra brutalità primordiale e intelligenza superiore quanto Gorilla Grodd. Non è solo un gigantesco primate capace di schiacciare auto come lattine. È anche, e soprattutto, una delle menti più acute e pericolose del suo universo narrativo: un telepate letale, un despota visionario, un avversario temibile anche per il Velocista Scarlatto. Ma da dove viene veramente questo gorilla psicocinetico e cannibale? Le sue origini — come accade spesso nel mondo dei fumetti — si intrecciano tra mitologia, riscritture e inquietanti rituali regali.

Gorilla Grodd non nasce nel nostro mondo, bensì in Gorilla City, una civiltà segreta iper-evoluta nascosta nella giungla africana, popolata da gorilla intelligenti. Una società isolata, tecno-mistica, in cui la scienza e la spiritualità si fondono in modi spesso incomprensibili per la mente umana.

Secondo una delle versioni più consolidate — seppur non definitiva — della sua biografia, Grodd è il figlio del Re di Gorilla City, parte di una dinastia regale. Fin dall’infanzia, mostrò doti eccezionali: forza sovrumana, una precoce intelligenza strategica e, soprattutto, una predisposizione unica a manipolare l’energia che i gorilla definiscono poeticamente come “la Luce”. Quest’ultima, come viene poi rivelato, è una manifestazione primitiva della Forza della Velocità – la stessa sorgente che alimenta i poteri di Flash.

Ma c’è di più. Grodd non è solo un principe reale: è un prescelto, un essere profetizzato. Un giorno, secondo un’antica leggenda, un “messaggero della Luce” sarebbe arrivato a Gorilla City. In quel momento, Grodd avrebbe dovuto risvegliare il suo vero potenziale e condurre la città in una nuova era. L’ambizione, già latente nel giovane gorilla, cominciò a divorarlo.

Con l’adolescenza arrivò l’insofferenza per le regole, il potere costituito, e soprattutto per l’autorità del padre. Nel più puro stile shakespeariano, Grodd decise che il tempo del regno paterno era finito. In una sfida rituale, affrontò il padre in un combattimento all’ultimo sangue. La posta in gioco? Il trono.

Grodd vinse. Non si limitò a reclamare il potere. Secondo le tradizioni più antiche — e barbariche — di Gorilla City, mangiò il cervello del padre, un gesto crudo ma ritualizzato, che gli permise di assorbire conoscenza, esperienza e ricordi del sovrano defunto. Un atto che sigillò non solo la sua vittoria, ma la sua discesa definitiva nella follia.

Ed è qui che il destino bussa alla porta con la puntualità di un deus ex machina: Barry Allen, alias The Flash, piomba accidentalmente a Gorilla City proprio durante l’incoronazione del nuovo Re Grodd. Il profetizzato “messaggero della Luce” è arrivato. Per Grodd, è la conferma del suo ruolo cosmico; per Flash, l’inizio di uno dei suoi incubi peggiori.

Dotato ora di telepatia, telecinesi, controllo mentale e un odio viscerale per l’umanità, Grodd elegge Flash a nemico giurato. La sua intelligenza non è fine a sé stessa: è manipolatoria, strategica, distruttiva. Grodd non vuole solo il dominio: vuole plasmare il mondo secondo il proprio delirio. Per lui, il regno animale è superiore a quello umano, e la supremazia dei gorilla dev’essere restaurata a qualunque costo.

Negli anni, Grodd ha affrontato Flash in decine di occasioni, spesso al fianco della sua Rogue Gallery, altre volte da solo, orchestrando piani che vanno dall’invasione di Central City alla conquista mentale dell’intera popolazione terrestre. Non si limita alla forza bruta: entra nelle menti, altera le volontà, semina paranoia e caos. E in ogni battaglia, riaffiora l'ombra di quel rituale originario, di quella fame di potere che lo ha trasformato in qualcosa di più (e meno) di un re.

Gorilla Grodd non è semplicemente un “gorilla parlante malvagio”, come potrebbe apparire a un occhio superficiale. È un archetipo del potere corrotto, una figura che fonde l’istinto animale con la razionalità deviata. Incarna la paura dell’altro, ma anche quella — più profonda — di ciò che potremmo diventare se lasciassimo che ambizione, violenza e delirio di onnipotenza prendano il sopravvento.

Grodd è una creatura tragica e crudele, emblema di un’evoluzione andata storta. Un personaggio che, al pari di Joker o Lex Luthor, ci costringe a interrogarci su dove si collochi davvero il confine tra civiltà e barbarie, tra genio e follia.

E mentre lui complotta nell’ombra o ringhia in campo aperto, una cosa è certa: il Re di Gorilla City non ha ancora detto la sua ultima parola.



Chi è davvero la Torcia Umana? Un fuoco che non brucia, un uomo che ha domato le fiamme del cosmo

Nel panorama degli eroi Marvel, pochi personaggi rappresentano con la stessa forza il connubio tra scienza, avventura e trasformazione quanto Johnny Storm, alias la Torcia Umana. Più che un semplice supereroe infuocato, Johnny è una figura emblematica della Golden Age rinata sotto la bandiera dei Fantastici Quattro: audace, esplosivo, impulsivo e profondamente umano. Ma nonostante la sua fama, c’è ancora molta confusione sul tipo di essere superumano che rappresenta. La domanda ricorrente: è un mutante?

La risposta è no. Johnny Storm non è un mutante, bensì un mutato — e la distinzione, nell’universo Marvel, è tutt’altro che semantica.

Nel lessico dei superesseri della Marvel, i mutanti sono individui nati con il cosiddetto gene X, che conferisce loro poteri latenti che generalmente si manifestano durante la pubertà o in condizioni di forte stress emotivo. Sono parte di una razza in evoluzione, spesso perseguitata, e rappresentata da gruppi come gli X-Men, Magneto e altri personaggi che lottano per — o contro — l’integrazione con l’umanità.

I mutati, al contrario, sono esseri umani “normali” la cui fisiologia viene alterata da fattori esterni: radiazioni, sostanze chimiche, incidenti scientifici, interventi tecnologici o biologici. È il caso di Spider-Man (morso da un ragno radioattivo), di Hulk (esposto a radiazioni gamma) o, appunto, della Torcia Umana, trasfigurata da una tempesta cosmica nello spazio.

Johnny Storm acquisì i suoi poteri durante una missione spaziale sperimentale, insieme a sua sorella Sue Storm (la Donna Invisibile), al fidanzato di lei Reed Richards (Mister Fantastic) e all’amico Ben Grimm (la Cosa). I quattro furono investiti da un’ondata di radiazioni cosmiche che alterò profondamente il loro DNA, trasformandoli nei primi supereroi Marvel moderni: i Fantastici Quattro.

Mentre ciascuno sviluppava poteri legati in modo singolare alla propria personalità o temperamento, Johnny divenne una creatura vivente fatta di fiamma: un uomo in grado di infiammarsi completamente senza danneggiarsi, volare a velocità supersoniche e manipolare il fuoco come un’estensione della propria volontà.

Johnny Storm può:

  • Accendersi a comando, ricoprendo tutto il suo corpo di fuoco, rimanendo però immune a qualsiasi danno termico.

  • Volare, grazie all’espulsione controllata di plasma ad altissima temperatura, raggiungendo velocità supersoniche.

  • Generare e controllare il fuoco: può lanciare palle di fuoco, getti infuocati, scudi termici, e perfino scrivere messaggi fiammeggianti nell’aria.

  • Modellare strutture di fuoco: ha dimostrato la capacità di plasmare fiamme in forme complesse, come animali o costrutti temporanei.

  • Assorbire calore: può sottrarre energia termica da una zona, spegnendo incendi o raffreddando ambienti surriscaldati.

  • Resistere a temperature estreme: può raggiungere il calore di una supernova, anche se per pochi istanti e a rischio della sua stessa integrità fisica e ambientale.

Questo arsenale di abilità ne fa uno dei manipolatori termici più potenti della Marvel, potenzialmente in grado di disintegrare intere aree urbane se privato del controllo.

Ma la Torcia Umana non è solo potere e spettacolo visivo. Johnny Storm è anche un personaggio fortemente emotivo, giovane e talvolta irresponsabile, ma sempre pronto a rischiare tutto per chi ama. Il suo spirito ribelle e la sua tendenza al protagonismo lo rendono spesso una figura di contrasto rispetto alla razionalità scientifica di Reed Richards o alla pacatezza di sua sorella Sue. Tuttavia, proprio questa energia lo rende indispensabile nei momenti critici: è la scintilla che tiene unito il gruppo nei momenti più bui.

Nel corso degli anni, la Torcia Umana è cresciuta, affrontando la morte, il sacrificio, la perdita e il ritorno. In più di un’occasione, ha dato prova di coraggio e maturità sorprendenti, arrivando a sacrificarsi per salvare interi mondi, solo per poi rinascere — come ogni vera fiamma che non si lascia spegnere.

Johnny Storm resta una delle incarnazioni più iconiche della Marvel del suo periodo più creativo. Nonostante la sua apparente leggerezza, rappresenta temi profondi: la trasformazione, l'adattamento, il conflitto tra responsabilità e desiderio, tra razionalità e istinto. Il suo status di “mutato” anziché mutante non è solo una nota tecnica, ma riflette la sua essenza narrativa: non un emarginato, ma un prescelto del caso; non un figlio dell’evoluzione genetica, ma un simbolo della casualità cosmica che può cambiare una vita da un momento all’altro.

E così, tra battute, esplosioni e voli acrobatici, la Torcia Umana continua a bruciare nei cuori dei lettori. Perché in fondo, Johnny Storm non è solo un uomo che prende fuoco: è un uomo che brucia per vivere.

domenica 14 gennaio 2018

Il potere più unico nei fumetti? Isca l’imbattuta, e il paradosso della vittoria assoluta

Nel vasto e variopinto panorama dei superpoteri dei fumetti, dove ogni concetto è stato almeno una volta esplorato, replicato o reinterpretato, è difficile trovare qualcosa che possa essere definito davvero unico. Superforza, invulnerabilità, controllo mentale, manipolazione del tempo o dello spazio: quasi ogni editore ha la propria versione di questi archetipi. Tuttavia, tra le centinaia di mutanti, metaumani, divinità e alieni, una figura emerge con un potere che non solo è originale nella sua formulazione, ma apre a scenari concettualmente affascinanti e, al tempo stesso, disturbanti. Si tratta di Isca l’imbattuta, personaggio introdotto nella continuity mutante della Marvel con l’arco narrativo di X of Swords.

La mutazione di Isca è, letteralmente, essere imbattibile. Non “resistere a ogni attacco”, non “vincere sempre nei combattimenti” — sarebbe troppo semplice. La sua abilità si traduce in una condizione ontologica permanente di vittoria. Qualsiasi sfida, qualunque sia la natura, che lei accetti o in cui venga coinvolta, deve finire con la sua vittoria. Non si tratta di fortuna: è una legge, una certezza universale.

Ciò che rende questo potere così radicalmente diverso da ogni altro è che non si tratta di una forza che applica sull’ambiente, ma di una verità che l’universo stesso è costretto a rispettare. Se affronta qualcuno in combattimento, acquisisce automaticamente la capacità necessaria per prevalere. Se partecipa a una gara, ogni variabile — abilità, probabilità, eventi casuali — si allineerà affinché lei vinca.

Ma la genialità di questo concetto risiede nei limiti e nei paradossi che comporta. Perché, se sei costretta a vincere, allora la tua libertà di scelta svanisce. Il tuo potere non ti obbedisce: ti comanda. Non sei libera di perdere, e spesso, non sei nemmeno libera di scegliere con chi combattere o da che parte stare. Ed è qui che Isca smette di essere una semplice superumana e diventa una figura tragica.

Nel corso delle sue apparizioni, Isca si è rivelata essere un personaggio enigmatico e pericolosamente coerente con il proprio dono. Durante i conflitti tra Arakko e Krakoa, non ha esitato a cambiare fazione nel mezzo della battaglia. Non per opportunismo, ma perché non poteva perdere. È la sua stessa mutazione a dettare le sue azioni, spesso al di là della morale, del cameratismo o della lealtà. Quando si capisce che la tua alleata potrebbe diventare tua nemica semplicemente perché la tua parte sta perdendo, ogni legame si incrina.

In un confronto teorico contro avversari come Shang-Chi, maestro assoluto delle arti marziali, la mutazione di Isca le fornirebbe automaticamente un livello di abilità paragonabile o superiore. Oppure, in alternativa, le concederebbe una soluzione completamente diversa — come emettere un’onda d’urto che lo disintegri all’istante — pur di garantire la vittoria. Ma ciò solleva una domanda inquietante: fino a che punto questo potere può spingersi?

Prendiamo un avversario come Sentry, l’essere quasi divino dell’universo Marvel, capace di manipolare la materia, resuscitare, apprendere poteri all’istante e distruggere interi sistemi solari. Può Isca batterlo in uno scontro uno contro uno? Forse no. E se davvero non può sconfiggerlo, cosa accade?

Secondo la logica implicita del suo potere, la risposta è agghiacciante: smette di essere sua nemica. Si unisce a lui. Non per scelta, ma per necessità. Per mantenere la sua imbattibilità, Isca deve schierarsi dalla parte vincente. Anche se questo significa abbandonare i propri ideali. Anche se questo significa servire un tiranno o un dio distruttore.

È qui che la mutazione di Isca smette di essere un potere e diventa una condanna esistenziale. Non è più un’abilità che conferisce vantaggi: è un imperativo cosmico che la separa da ogni possibile empatia, affetto o volontà personale. Non può essere fedele, non può essere coerente, non può essere libera. Il prezzo dell’imbattibilità è l’annullamento dell’identità.

Questa complessità concettuale potrebbe essere una delle ragioni per cui Isca è stata finora impiegata con parsimonia. Troppo forte per essere un’antagonista gestibile, troppo imprevedibile per essere una protagonista coerente, troppo ambigua per rientrare nei binari del bene o del male. Un personaggio che, per definizione, può rompere ogni trama nella quale si trovi coinvolta.

Eppure, proprio per questo, è uno dei personaggi più intriganti mai concepiti nel genere supereroistico. Il suo potere solleva domande di natura etica, filosofica, narrativa. È davvero un’eroina, o è solo una funzione matematica senziente? Può esistere una tragedia greca mutante, in cui il fato non è il destino scritto dagli dei, ma la tua stessa genetica? E soprattutto: come reagirà il mondo quando capirà che non può mai, in nessun caso, batterla?

Nel multiverso dei fumetti, dove tutto è possibile e tutto è stato raccontato, Isca rappresenta un’anomalia. Non tanto per ciò che fa, quanto per ciò che non può fare. Non può perdere. E in questo paradosso, si annida la sua condanna.

Più che un’arma vivente, è un monito narrativo: che cosa succede quando un potere diventa così assoluto da negare la libertà stessa? È forse questo il superpotere più unico di tutti: l’impossibilità di fallire… e dunque, l’impossibilità di scegliere.

sabato 13 gennaio 2018

Se esistessero i supercriminali e i supereroi no, gli umani sarebbero in grado di sconfiggerli?

Se i supercriminali esistessero davvero in un mondo dove i supereroi non sono mai apparsi, gli esseri umani si troverebbero di fronte a una sfida di proporzioni senza precedenti. Il nostro intero apparato di sicurezza — militare, giuridico, tecnologico — verrebbe messo alla prova in modi mai visti prima. Eppure, nonostante l’enorme disparità di risorse e abilità, la risposta alla domanda se saremmo in grado di sconfiggerli non è né un “sì” né un “no” categorico. È un “dipende”. Dipende dal tipo di supercriminale, dalla sua visibilità, dalle sue capacità e, soprattutto, dalla nostra capacità di adattamento.

Prendiamo il caso dei famigerati villain dell’universo di Batman: il Joker, l’Enigmista, Due Facce, lo Spaventapasseri. Nonostante la loro teatralità e il talento nel seminare caos, sono pur sempre esseri umani. Altamente intelligenti, disturbati, spesso geniali, ma biologicamente vulnerabili. In un mondo reale, senza l’intervento di un vigilante come Batman a “tenere in vita il gioco”, la risposta istituzionale a queste minacce sarebbe probabilmente brutale e definitiva. La polizia, i reparti speciali, i servizi segreti: tutti convergerebbero su questi individui, che verrebbero probabilmente eliminati o incarcerati in breve tempo. La retorica della tolleranza zero, unita alla pressione mediatica e alla sete di giustizia pubblica, non lascerebbe loro molto spazio d’azione.

Anche i criminali più raffinati, come Kingpin o Lex Luthor, non potrebbero contare a lungo sulle sole risorse legali. Nel nostro mondo, i miliardari sono protetti finché restano nei limiti del sistema; ma se venissero scoperti a commettere omicidi, terrorismo o esperimenti illegali su scala globale, la loro immunità svanirebbe rapidamente. Anche se evitassero la giustizia formale grazie a legioni di avvocati, sarebbe difficile resistere al giudizio della piazza. Pensiamo ai cartelli della droga in America Latina: nonostante la protezione politica, l’impunità non è eterna.



Il vero problema nasce con i supercriminali che trascendono le regole del nostro mondo fisico, politico e militare. Prendiamo Magneto: il suo controllo sul magnetismo gli garantisce un’invulnerabilità pressoché assoluta a ogni forma di tecnologia moderna. Qualsiasi veicolo, arma, satellite, centrale elettrica — tutto può essere smantellato, deviato, distrutto da lui con uno sforzo minimo. Pensare di affrontarlo con jet da combattimento o missili sarebbe inutile. L’arsenale stesso diverrebbe una risorsa nelle sue mani.

Qualcuno potrebbe suggerire metodi alternativi: veleno, gas nervino, assassini addestrati pronti a colpirlo nel sonno. Ma anche qui la realtà è meno semplice di quanto sembri. Magneto ha vissuto la persecuzione, la guerra, l’internamento. Conosce la brutalità della specie umana, e proprio per questo difficilmente si lascerebbe sorprendere. È ragionevole ipotizzare che viva in isolamento, protetto da scudi elettromagnetici, in località segrete o volanti. Qualunque tentativo di irrompere nei suoi rifugi risulterebbe non solo vano, ma suicida. Le forze speciali impiegate contro Bin Laden impiegarono oltre un decennio per localizzarlo: e Bin Laden non poteva deviare droni o disattivare i radar a migliaia di chilometri di distanza.

In uno scenario apocalittico, se gli Stati decidessero comunque di attaccare Magneto in una città popolata con gas o armi di distruzione di massa, lui potrebbe semplicemente deviare il vento, innalzare barricate di metallo, costruire meccanismi di ventilazione d’emergenza in pochi secondi. E nel caso estremo, distruggere intere metropoli in risposta. L’equilibrio sarebbe quello di una mutua distruzione assicurata, simile alla Guerra Fredda: si saprebbe che un attacco diretto a Magneto porterebbe all’annientamento di chi lo lancia. Non un’arma, ma una deterrenza vivente.

Ancora più difficile sarebbe affrontare supercriminali come Ra’s al Ghul, la cui stessa esistenza è avvolta nel mistero. Leader di un’organizzazione millenaria, isolata, elitaria e invisibile come la Lega degli Assassini, Ra’s rappresenta un tipo di minaccia che neanche i servizi di intelligence più avanzati riuscirebbero a tracciare. Non ci sono post su internet, tracciamenti GPS, foto satellitari o informatori che possano portare facilmente a individui così radicati nell’ombra.

È un paradosso: il supercriminale più pericoloso potrebbe non essere quello più potente, ma quello più introvabile. Un’entità che opera da dietro le quinte, che fa cadere regimi, altera mercati, diffonde virus o avvelena leader politici senza mai comparire nei radar. Ra’s al Ghul sarebbe più simile a un mito che a una minaccia concreta per la popolazione. E proprio per questo, inafferrabile.

In assenza di supereroi, potremmo immaginare un altro scenario: la giustizia popolare. Se alcuni di questi criminali venissero scoperti, le masse — armate di rabbia, social media e determinazione — potrebbero colmare il vuoto lasciato dalle istituzioni. È così che sono crollati imperi, cartelli, regimi. Ma questa via ha un prezzo: l’instabilità, il caos e la spirale della vendetta. E non è detto che funzioni contro chi è troppo forte o troppo invisibile.

Se i supercriminali esistessero ma i supereroi no, l’umanità riuscirebbe probabilmente a neutralizzare i più teatrali e visibili tra loro, specie quelli ancora soggetti a limiti umani. Ma contro entità come Magneto o Ra’s al Ghul, la nostra civiltà moderna, per quanto avanzata, si troverebbe a combattere una guerra impari. La soluzione non sarebbe militare, ma forse diplomatica, tecnologica o persino filosofica: trovare un modo per coesistere, contenere o negoziare.

Perché quando una singola mente può piegare le leggi della fisica o restare nascosta per secoli, le nostre leggi, i nostri tribunali e le nostre prigioni non bastano più.