martedì 30 settembre 2025

Daredevil e il paradosso della fede: perché Matt Murdock, cattolico devoto, sceglie di vestirsi come il diavolo


Nell’universo Marvel, poche figure incarnano la contraddizione e il tormento interiore come Matt Murdock, alias Daredevil. Avvocato di giorno e vigilante mascherato di notte, figlio del cattolicesimo irlandese-americano e al tempo stesso simbolo del peccato e della punizione, Daredevil porta nel suo stesso nome e nel suo costume rosso fuoco il marchio del diavolo. Una scelta che appare immediatamente provocatoria: perché un uomo profondamente cattolico dovrebbe indossare le sembianze di colui che, nella sua fede, rappresenta il male assoluto?

La risposta, come spesso accade nei fumetti e nelle narrazioni che sopravvivono al tempo, si colloca a più livelli: quello editoriale, quello narrativo e quello psicologico. E proprio nell’intreccio tra queste dimensioni si svela il cuore oscuro del “Diavolo di Hell’s Kitchen”.

Per comprendere la genesi di Daredevil, bisogna partire dall’epoca della sua creazione. Negli anni ’60, la Marvel decise di collocare i suoi eroi nel cuore di New York, la città in cui vivevano Stan Lee, Jack Kirby e gli altri autori. Non un mondo immaginario come Gotham o Metropolis, ma strade riconoscibili, quartieri concreti.

Hell’s Kitchen, allora, non era il quartiere gentrificato di oggi, ma uno dei luoghi più poveri, violenti e degradati di Manhattan. Criminalità, gang giovanili e miseria lo rendevano un terreno fertile per storie dure, a metà tra poliziesco e noir urbano. In questo contesto, la Marvel concepì un supereroe cieco, giocando sul motto che “la giustizia è cieca”.

La cecità di Matt Murdock divenne un simbolo potente, e la sua duplice identità di avvocato e vigilante ne faceva il personaggio perfetto per incarnare la lotta tra legge e giustizia. Ma serviva un costume che rendesse il tutto iconico e memorabile. E cosa poteva essere più tematicamente appropriato per un eroe nato nell’inferno urbano di Hell’s Kitchen se non la figura del diavolo?

La scelta del nome “Daredevil” non fu soltanto un’invenzione editoriale. All’interno della storia, ha radici molto più intime. Matt Murdock, da bambino, fu spesso deriso e bullizzato. I compagni lo chiamavano “Daredevil” per sbeffeggiare la sua apparente fragilità e la sua inclinazione a compiere gesti temerari nonostante la cecità.

Quel nomignolo, nato come insulto, Murdock lo ribaltò, appropriandosene e trasformandolo in simbolo di rivincita. Quando decise di creare il suo costume, scelse deliberatamente di incarnare quell’etichetta. Indossare le corna e il colore rosso significava fare proprio il ruolo del “diavolo”, ma alle sue condizioni, come strumento di giustizia anziché di dannazione.

In questo, Daredevil anticipa meccanismi narrativi che ritroviamo anche in altri eroi. Batman, per esempio, trasforma la paura infantile dei pipistrelli in arma contro i criminali. Ma mentre Bruce Wayne utilizza il simbolo di un animale per incutere timore, Murdock prende un’immagine profondamente radicata nella fede cristiana, trasformandola in un monito di giustizia.

Curiosamente, nei primi decenni di vita editoriale, il cattolicesimo di Matt Murdock non fu affatto centrale. Nei primi 120 numeri del fumetto, la religione è praticamente assente. Daredevil era raccontato più come un vigilante urbano con una storia personale drammatica che come un credente tormentato.

Fu soltanto con Frank Miller, a partire dagli anni ’80, che la componente cattolica divenne un tratto caratterizzante. Miller, maestro nel dipingere eroi lacerati da dilemmi morali e oscurità interiori, vide in Daredevil il terreno perfetto per innestare il tema del peccato, della colpa e della redenzione. L’educazione cattolica di Murdock si trasformò in una forza psicologica costante, generatrice di sensi di colpa e conflitti interiori che rendevano il personaggio straordinariamente umano.

Da allora, a seconda degli autori, l’accento sul cattolicesimo è stato più o meno marcato. Alcuni scrittori hanno preferito sottolineare l’aspetto da vigilante urbano, altri invece hanno fatto della fede il cuore pulsante delle sue avventure, rendendo Matt Murdock quasi un santo guerriero che, pur indossando il volto del diavolo, combatte per il bene.

Ed è qui che entra in gioco il paradosso più affascinante. Perché un cattolico devoto dovrebbe vestirsi da diavolo?

La risposta, sul piano narrativo, è duplice. Da un lato, Daredevil segue la stessa logica di Batman: sfruttare la paura come arma. I criminali sono superstiziosi e codardi, e nulla evoca terrore come la visione di un uomo mascherato che incarna il diavolo stesso. Il rosso, il corno, il simbolo infernale: tutto concorre a trasformare Murdock in un incubo per chi vive di violenza e corruzione.

Dall’altro lato, il paradosso diventa coerente proprio se letto alla luce del cattolicesimo. Matt è un uomo che lotta quotidianamente con il peccato, che vive schiacciato da un senso di colpa onnipresente, che vede se stesso come un’anima in bilico tra salvezza e dannazione. Vestirsi da diavolo significa abbracciare visivamente quella parte oscura che lo perseguita, per poi incanalarla in un atto di giustizia. È quasi un atto penitenziale: indossare il simbolo del male per combatterlo, caricarsi sulle spalle l’immagine del nemico spirituale per riscattare le proprie colpe.

In questa chiave, Daredevil non è soltanto un vigilante mascherato. È il simbolo vivente della tensione tra peccato e redenzione. Il suo costume diabolico diventa una croce da portare: un costante promemoria della sua natura imperfetta, del rischio di cedere alla violenza e all’odio, ma anche della possibilità di usare la propria oscurità come strumento di bene.

La contraddizione non è una debolezza narrativa, bensì il cuore stesso del personaggio. Se Spider-Man rappresenta la responsabilità e Captain America l’ideale, Daredevil rappresenta il tormento interiore dell’uomo di fede che combatte con i propri demoni. Letteralmente.

Il fascino duraturo di Daredevil risiede anche nella sua capacità di riflettere i dilemmi del cattolicesimo vissuto in chiave contemporanea. Non è un santo senza macchia, ma un uomo imperfetto, che pecca e si confessa, che cade e si rialza. Indossando i panni del diavolo, Murdock ci mostra che la lotta tra bene e male non è mai esterna, ma interiore.

E proprio per questo, il suo simbolo funziona: non perché neghi la fede, ma perché la radicalizza. Daredevil non smette mai di essere cattolico indossando il costume rosso; anzi, lo diventa ancora di più, accettando di confrontarsi quotidianamente con il volto stesso del male.

Matt Murdock si veste come il diavolo non nonostante sia cattolico, ma proprio perché lo è. La sua maschera è insieme un atto di ribellione e di fede, una strategia per incutere paura nei criminali e un percorso spirituale per confrontarsi con i propri peccati.

In un mondo di eroi che si definiscono attraverso simboli animali, patriottici o mitologici, Daredevil è unico: un credente che indossa le sembianze del male per combatterlo, un avvocato cieco che vede più chiaramente di chiunque altro il confine tra giustizia e peccato.

È questa contraddizione – il cattolico che si traveste da diavolo – a rendere Daredevil non solo uno dei personaggi più affascinanti della Marvel, ma anche uno dei più profondamente umani.


Nessun commento:

Posta un commento