Nel vasto universo di Dragon Ball, tra battaglie cosmiche e trasformazioni leggendarie, si cela una complessa rete di riferimenti religiosi e mitologici che affonda le radici nell’Oriente più arcaico — ma non solo. Akira Toriyama, pur non avendo mai voluto trasformare il suo mondo in un trattato teologico, ha intessuto una trama di simboli e archetipi che attingono tanto al buddhismo quanto all’induismo, al taoismo e persino all’antico Egitto. Gli dèi della serie, quindi, non sono figure casuali né puramente inventate: sono reinterpretazioni moderne di divinità e principi cosmologici appartenenti a diverse culture, fuse insieme con l’ironia e la libertà creativa tipica del mangaka giapponese.
I primi riferimenti mitologici appaiono già con i Kaioh, le divinità che governano i quattro quadranti dell’universo di Dragon Ball: Nord, Sud, Est e Ovest. A essi si aggiunge il Grande Kaioh, sovrano del centro, per un totale di cinque figure. Questa struttura non è un’invenzione di Toriyama, ma un chiaro rimando alla cosmologia orientale, in particolare al sistema dei “Cinque Punti Cardinali” della tradizione cinese e indù, dove ai consueti nord, sud, est e ovest si aggiunge il centro, rappresentante l’equilibrio.
Nella mitologia buddhista e taoista, esistono i Quattro Re Celesti (Shitennō in Giappone), guardiani dei punti cardinali del mondo. Ognuno protegge un quadrante dell’universo e presiede a un elemento naturale, a un colore e a una direzione simbolica. Toriyama ne riprende la struttura e la trasforma in chiave umoristica e narrativa: i Kaioh non sono temibili divinità guerriere, ma saggi eccentrici, spesso goffi, che incarnano in modo ironico il principio dell’ordine cosmico.
Molti personaggi secondari dell’universo di Dragon Ball traggono ispirazione diretta dal folklore giapponese. Un esempio emblematico è la Principessa del Serpente (Hebi-hime), che appare nella prima parte della saga di Dragon Ball Z durante il viaggio di Goku lungo la Via del Serpente.
Il personaggio è modellato sulle Nure-Onna, creature leggendarie metà donna e metà serpente che popolano i racconti popolari del Giappone medievale. Le Nure-Onna erano spiriti anfibi, a volte benevoli, più spesso ingannatrici, capaci di attrarre gli uomini con la bellezza per poi rivelare la loro natura mostruosa. In Dragon Ball, Toriyama ne conserva il fascino ambiguo e l’elemento tentatore, ma lo inserisce in un contesto comico e surreale, tipico della sua poetica narrativa.
Con l’introduzione degli Dei della Distruzione nella saga di Dragon Ball Super, Toriyama e Toyotarō ampliano il pantheon cosmico dell’universo narrativo, introducendo figure di scala universale. Il primo e più iconico è Beerus, il Dio della Distruzione del Settimo Universo, seguito dal suo fratello gemello Champa, sovrano del Sesto.
I due felini antropomorfi hanno un’estetica che richiama apertamente la mitologia egizia. Le loro sembianze, con le orecchie lunghe, il corpo snello e l’atteggiamento divino ma giocoso, si rifanno a Bastet, la dea-gatta del pantheon egizio, protettrice della casa ma anche simbolo di potenza distruttiva controllata. In alcune versioni del mito, Bastet era un aspetto di Sekhmet, la dea leonina della guerra: una figura che, come Beerus, incarna sia la distruzione che l’equilibrio cosmico.
Il parallelismo non è casuale. Beerus rappresenta infatti il principio distruttore necessario all’ordine universale, una concezione che risuona fortemente con le dottrine indù e con la figura di Shiva, il distruttore e rigeneratore del cosmo. Anche gli altri Dei della Distruzione introdotti nei vari universi riflettono questo archetipo, reinterpretandolo attraverso forme e personalità diverse.
Nel pensiero induista, Shiva non è semplicemente una divinità della distruzione, ma il simbolo del ciclo eterno di creazione, dissoluzione e rinascita. La sua danza, la Tandava, rappresenta il ritmo cosmico che mantiene l’universo in movimento: distruggere è una forma di purificazione, un atto necessario per permettere alla creazione di rinnovarsi.
Questa stessa visione permea la filosofia di Dragon Ball Super. Gli Dei della Distruzione, lungi dall’essere malvagi, mantengono l’equilibrio universale eliminando ciò che è stagnante o corrotto, affinché nuovi mondi possano nascere. L’idea, dunque, è che la distruzione sia solo l’altra faccia della creazione — un concetto che Toriyama trasforma in una metafora dinamica per l’evoluzione dei personaggi e dell’universo narrativo.
Sopra gli Dei della Distruzione si erge Zeno, il Re di Tutte le Cose, rappresentazione suprema dell’assoluto. La sua figura, infantile e capricciosa, rompe con la solennità delle divinità classiche. Tuttavia, sul piano simbolico, richiama la nozione orientale di divinità immanente: una forza creatrice che non è né buona né cattiva, ma semplicemente “è”.
Nelle filosofie buddhiste e taoiste, il principio ultimo dell’esistenza non ha volontà morale; esso rappresenta l’unità di tutte le cose, l’energia da cui il cosmo nasce e in cui si dissolve. In Dragon Ball, Zeno incarna questa concezione in chiave paradossale: un dio onnipotente con la mente di un bambino, in cui il potere assoluto convive con l’innocenza.
Ciò che rende il pantheon di Dragon Ball affascinante è l’equilibrio tra irriverenza e profondità simbolica. Toriyama non si appropria delle divinità orientali in senso religioso, ma le rilegge con la leggerezza di chi sa che il sacro, nel racconto popolare, può convivere con il comico. Gli dèi della serie non impongono dogmi: sono personaggi viventi, soggetti a emozioni, capricci e persino errori.
Questa rappresentazione umanizzata delle divinità affonda le sue radici nel teatro giapponese e nelle leggende popolari, dove anche gli dèi sbagliano, litigano o si annoiano. In tal modo, Toriyama crea un universo dove la spiritualità è narrata come una forma di energia vitale, non come un sistema religioso.
L’insieme delle divinità di Dragon Ball costituisce una mitologia sincretica moderna, dove Oriente e Occidente, sacro e profano, filosofia e intrattenimento si incontrano. I Kaioh riprendono i guardiani celesti del buddhismo; Beerus e gli altri Dei della Distruzione incarnano l’archetipo di Shiva; Zeno riflette l’assoluto senza forma del taoismo.
Toriyama non ha creato un pantheon religioso, ma un linguaggio simbolico universale, accessibile anche a chi non conosce le dottrine da cui trae ispirazione. In questo sta la sua genialità: trasformare la spiritualità in avventura, la metafisica in racconto, il mito in intrattenimento.
Gli dèi di Dragon Ball non chiedono venerazione, ma comprensione: ricordano che ogni creazione, come ogni universo, vive solo finché c’è chi la immagina.