Nell’immaginario collettivo, lo scontro finale tra Harry Potter e Lord Voldemort è spesso dipinto come una battaglia tra pari: il Bene contro il Male, il prescelto contro il Signore Oscuro, una lotta tesa e bilanciata decisa da coraggio, astuzia e destino. Ma a uno sguardo più lucido, disincantato e privo del velo romantico che la narrativa ci ha cucito addosso, la realtà è ben diversa: non è mai stata una vera battaglia alla pari. Voldemort era semplicemente su un altro livello.
Lord Voldemort — al secolo Tom Riddle — non è solo l’antagonista principale della saga, ma anche uno dei più potenti maghi Oscuri della storia. È un duellante formidabile, un esperto di magia oscura al di là di qualsiasi standard conosciuto e, soprattutto, un uomo che ha superato la morte grazie agli Horcrux. Ha affinato la sua arte con anni di studio, pratica e malvagità pura.
Harry Potter, per quanto coraggioso e dotato, non ha mai avuto un livello magico nemmeno paragonabile a quello del suo nemico. Non è particolarmente brillante accademicamente, non eccelle nei duelli, non conosce magie oscure né incantesimi avanzati. Il suo vero potere non è nella bacchetta, ma nella forza morale, nel legame con gli altri e — va detto — in una dose straordinaria di fortuna narrativa.
Harry sopravvive ripetutamente a Voldemort non per superiorità magica, ma per meccanismi esterni che lo proteggono: l’amore della madre, l’incantesimo di sangue che lo lega alla zia Petunia, la connessione dell’anima con Voldemort stesso, la protezione della bacchetta di Sambuco. Ogni volta che si trova in pericolo mortale, è un intervento esterno, non la sua forza, a salvarlo.
Nel confronto finale, Voldemort è già indebolito: ha perso i suoi Horcrux, è isolato, e sottovaluta il legame tra le bacchette. Harry, nel frattempo, possiede l’alleanza segreta con la Bacchetta di Sambuco, che si rifiuta di uccidere il suo vero padrone. Il colpo finale è dunque più un errore tragico di Voldemort che un trionfo di potere da parte di Harry.
È facile ricordare lo scontro tra Harry e Voldemort come un duello eroico, uno contro uno. Ma la verità è che, in condizioni normali e prive di interferenze magiche o morali, Voldemort avrebbe spazzato via Harry in pochi secondi. Non perché Harry sia inutile — tutt’altro — ma perché lo scontro era sproporzionato fin dall’inizio.
Quello tra Harry e Voldemort non è un classico “rival match”. Non è come Goku contro Vegeta, Batman contro Joker, Holmes contro Moriarty. È più simile a un ragazzo determinato che, grazie al coraggio e a una serie di coincidenze fortunate, riesce a sopravvivere e vincere contro un nemico infinitamente più potente.
Harry Potter ha vinto, sì. Ma non per forza bruta, né per maggiore conoscenza, né per superiorità tecnica. Ha vinto perché rappresentava l’amore, la speranza, e perché la storia — letteralmente — era dalla sua parte. Lo scontro con Voldemort, per quanto emozionante e narrativamente appagante, non è mai stato davvero vicino.
In un mondo dove la logica magica contasse più del simbolismo, Harry sarebbe caduto molto prima. Ma fortunatamente per lui — e per tutti noi — la magia della narrazione ha fatto il resto.