Per essere un fumetto gratuito, Suicide Squad: King Shark #1
si è rivelato sorprendentemente divertente. Dopo averlo letto, mi
sono ritrovato con sentimenti contrastanti: da un lato alcune scelte
narrative mi hanno lasciato perplesso, dall’altro sono entusiasta
di avere finalmente una storia solista su Nanaue, il potente e
affascinante King Shark. Questo numero segna un’importante
opportunità per esplorare la psicologia, l’origine e la
complessità di un personaggio che, fino a oggi, è stato spesso
relegato a ruoli di supporto o comic relief all’interno della
Suicide Squad.
Una delle cose che più mi è piaciuta di questo fumetto è
l’umanizzazione di King Shark, in modo simile a quanto visto nel
film. Nanaue, pur essendo un colosso di forza e terrore in battaglia,
è raffigurato qui come un personaggio capace di affetto e legami
significativi. Il fumetto gli concede un essere umano con cui
instaura un legame amichevole, mostrando il suo lato premuroso.
Questo dettaglio, seppur semplice, aumenta incredibilmente la
profondità del personaggio: King Shark non è solo un mostro
assetato di violenza, ma un individuo con empatia, in grado di
preoccuparsi per altri esseri viventi.
Questa scelta narrativa non è nuova. In passato, Nanaue si è
preso cura del secondo Aquaman nella miniserie La Spada di
Atlantide, dimostrando come il legame tra King Shark e altri
personaggi aggiunga spessore e fascino alla sua figura. Il contrasto
tra la sua imponenza fisica e la sua capacità di affezionarsi e
proteggere qualcuno rende Nanaue un personaggio irresistibile agli
occhi dei lettori.
Non tutto nel numero è impeccabile. C’è una scena con Defacer
che definisce King Shark “un sacco da boxe per Aquaman”.
Personalmente trovo questa affermazione fuorviante: King Shark non è
mai stato realmente sconfitto da Aquaman in un combattimento corpo a
corpo nei fumetti. Questo tipo di commento rischia di sminuire la
portata del personaggio, riducendo la sua aura di potenza.
Inoltre, c’è una piccola irritazione dovuta al comportamento di
Amanda Waller. Nel fumetto, la direttrice della Suicide Squad
definisce erroneamente King Shark come uno “squalo”. Dal punto di
vista narrativo, potrebbe essere una scelta intenzionale per mostrare
quanto poco Waller conosca realmente di lui. Tuttavia, dal lato del
fan e appassionato di lore, è un errore fastidioso: Nanaue non è
uno squalo nel senso biologico. La sua composizione genetica e
mitologica è molto più complessa.
Parlare dell’origine di King Shark è essenziale per capire
perché la definizione di Waller sia così imprecisa. Nanaue è il
figlio di un dio squalo e di una donna umana. Tuttavia, il dio squalo
è anche un aumakua, ovvero uno spirito ancestrale della famiglia,
che in passato era umano prima di essere divinizzato. Questo implica
che King Shark sia per metà umano e per metà divinità,
ma con la divinità stessa che possiede un’origine umana.
Tecnicamente, quindi, Nanaue non è uno squalo al 100%, né
biologicamente né mitologicamente.
Negli anni, il nome del padre di Nanaue è cambiato da Chondrakha
nei fumetti più vecchi a Kamo nel New 52. Questa variazione è stata
elegantemente integrata nel numero, fornendo continuità e
riconciliazione interna alla sua storia. In una pagina, King Shark
stesso afferma di essere per metà aumakua, chiarendo ulteriormente
la sua eredità mista e le sue radici divine.
Questo livello di dettaglio mostra quanto la scrittura moderna
voglia rendere King Shark un personaggio più sfaccettato
e meno “monolitico”. Non si tratta più soltanto del colosso che
combatte la Squad, ma di un individuo con legami culturali,
mitologici e familiari profondi.
Riflettendo sulla sua natura, King Shark è per metà dio e per
metà umano, sebbene la metà divina abbia origini umane. Questo
dettaglio lo rende un personaggio unico: il suo lato “mostruoso”
deriva più dalla mitologia e dalla sua eredità che da
caratteristiche biologiche reali. Nonostante l’aspetto di un
predatore marino gigantesco, la sua psicologia, i suoi sentimenti e
le sue relazioni con gli altri personaggi lo rendono profondamente
umano.
Il fumetto si prende quindi il merito di umanizzare una
figura che potrebbe essere percepita solo come forza bruta.
L’aspetto antropomorfo di King Shark diventa così uno strumento
narrativo per esplorare temi più profondi, come il legame familiare,
la fedeltà e il concetto di eredità.
Avere un numero dedicato a King Shark è fondamentale. Nel
panorama DC, Nanaue ha spesso avuto ruoli secondari o marginali.
Questo fumetto gli consente di brillare, di mostrare il suo carattere
complesso, la sua intelligenza e la sua sensibilità, oltre alla
consueta potenza fisica.
Il focus su King Shark permette anche di esplorare dinamiche
sociali e psicologiche: come interagisce con esseri umani, come
affronta la diffidenza di Waller e della Squad, e come riesce a
bilanciare i suoi istinti predatori con la capacità di affetto e
protezione verso gli altri.
Questo tipo di sviluppo è ciò che rende il fumetto interessante
non solo per i fan della Suicide Squad, ma anche per i lettori
appassionati di personaggi complessi e sfaccettati.
Nonostante le molte note positive, ci sono alcuni punti che
meritano critica. L’errore di Waller nel definire King Shark come
“squalo” e il commento di Defacer su Aquaman possono sembrare
piccoli dettagli, ma per gli appassionati di lore sono rilevanti.
Queste imperfezioni potrebbero essere state scelte narrative
deliberate per costruire conflitto o per sottolineare l’ignoranza
di certi personaggi, ma rimangono fastidiose per chi conosce la
storia e la mitologia di Nanaue.
Detto ciò, queste piccole pecche non rovinano l’esperienza
complessiva: il fumetto resta godibile, scorrevole e, soprattutto,
divertente.
Un altro punto di forza del fumetto è l’equilibrio tra scene
d’azione e caratterizzazione dei personaggi. Non ci sono sequenze
eccessivamente lunghe o gratuite: ogni combattimento o momento di
tensione serve a far emergere aspetti della personalità di King
Shark o delle dinamiche con gli altri membri della Squad.
In particolare, il rapporto con l’essere umano con cui instaura
un legame mostra un lato emotivo spesso trascurato: King Shark non è
solo un gigante assetato di violenza, ma un individuo capace di
empatia, cura e sacrificio. Questi momenti lo rendono memorabile e
creano un contrasto interessante con la sua immagine mostruosa.
Con Suicide Squad: King Shark #1, il lettore ha un
assaggio di ciò che potrebbe diventare la serie solista del
personaggio. L’interpretazione moderna di Nanaue è fedele alle
origini, ma aggiunge livelli di complessità e profondità.
Il fumetto apre anche la strada a possibili sviluppi futuri: nuovi
legami, sfide morali, confronti con altri personaggi DC e
approfondimenti sulla sua eredità divina. La narrazione lascia
spazio alla crescita, alla scoperta e a potenziali conflitti interni,
rendendo la serie promettente per chi ama storie di anti-eroi e
figure complesse.
Suicide Squad: King Shark #1 è un numero che sorprende e
diverte. Pur con alcune imperfezioni, offre finalmente una storia
solista a Nanaue, esplorando la sua mitologia, le sue origini e la
sua psicologia. L’umanizzazione del personaggio, i legami emotivi e
la gestione equilibrata tra azione e introspezione rendono il fumetto
un’esperienza piacevole e significativa per lettori di ogni tipo.
Nonostante i commenti discutibili di Defacer e l’errore di
Waller nel definirlo “squalo”, il fumetto riesce a catturare
l’essenza di King Shark: un colosso mitologico, per metà umano e
per metà divino, capace di empatia, forza e complessità emotiva.
Personalmente, sono contento di avere finalmente un fumetto
dedicato a King Shark e non vedo l’ora di scoprire cosa riserverà
il prossimo numero. La speranza è che la serie continui a esplorare
il lato umano e divino di Nanaue, mantenendo intatta la sua potenza e
la sua capacità di sorprendere i lettori.
Suicide Squad: King Shark #1 dimostra che anche i
personaggi più “mostruosi” possono avere storie profonde e
coinvolgenti, capaci di catturare l’attenzione e l’affetto dei
lettori. Nanaue, con la sua complessità e la sua originalità, è
finalmente pronto a emergere come protagonista, confermando che
dietro l’aspetto temibile c’è molto più di quanto l’occhio
possa vedere.